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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/140

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L’altra non vede l’arcolaio quel, ch’era
     Ma ’l secco legno un’ olmo vivo cresce,
     E lo scorge cangiarsi in tal maniera,
     Ch’ogni legno di lui ramo riesce.
     Pampino in copia, et uva bianca, e nera,
     Del fil, ch’è intorno à lui, si forma, et esce,
     Cresce il gomitol poi, s’ ingrossa l’accia,
     E al fin di viti verdi un fascio abbraccia.

Ardon per casa lampade, e facelle,
     E sentonsi ulular diverse fere,
     Ch’esser mostrano al suon crudeli, e felle,
     Orsi, Tigri, Leon, Pardi, e Pantere.
     L’esterrefatte subito sorelle
     Si levan con gran fretta da sedere,
     E con timido piè fugge ciascuna,
     Dove le par, che sia l’aria più bruna.

E così come avien, che nel timore
     Spesso l’huom suol tutto in un gruppo farsi,
     Acciò che ’l giel, che fa tremare il core,
     Men nuoca à membri, di timor cosparsi;
     Tal per unire il natural calore
     Venner con tutto ’l corpo ad incurvarsi
     Le tre sorelle, e ’l non veduto Nume
     Le fe gli augei, che son nemici al lume.

S’ impiccolano i membri, e vengon tali,
     Che l’augel tutto è come un passer grande.
     Di cartilagine ha le deformi ali,
     E quelle senza piume à l’aria spande.
     Odia la luce, e tutti gli animali,
     Ne s’annida già mai fra pruni, e ghiande,
     Compare al buio, e case habita, e grotte,
     E Nottola vien detta da la notte.

Si maraviglia ogn’una di vederse
     Volar per l’aria tenebrosa, e sola,
     E come si gran membra sian converse
     In poca cartilagine, che vola.
     E mentre s’arma ciascuna à dolerse,
     Non può la voce sua formar parola,
     Il grido al picciol corpo si conface,
     Et è forza, che strida, se non tace.

Allhor di Bacco il glorioso nome
     Per tutta la città maggior si sparse.
     Altro la zia non fea, che contar come
     Con suoni, e faci à le donzelle apparse.
     Come dal vespro anchor l’augel si nome,
     Da l’hora, che ’l lor volto human disparse,
     Come l’ irato Dio dispose, e volle,
     La cui pompa stimar bugiarda, e folle.

Ino fa si sublime ogni suo fatto,
     I miracoli suoi, la sua possanza,
     Ch’in ogni suo proposito, in ogni atto
     Fà rifrescar di lui la rimembranza.
     Tal che non può soffrire ad alcun patto
     Tanta gloria Giunon, tanta arroganza.
     Non può soffrir colei, ch’ogni hor favella
     Del figlio de la pellice sorella.

À morte odia Giunon questa famiglia,
     Perche Giove di lor n’amò già due.
     E però di estirparla si consiglia,
     Perche da lor non le sia tolto piue.
     Lassa (dicea) d’Agenore la figlia
     Già il fece in Tiro diventare un Bue.
     La meretrice poi, d’onde hebbe Bacco,
     Co’l regio manto il fece ire in Baldacco.

Restò da l’amor suo bruciata e spenta
     Semele, al dimandar credula, e insana.
     Autonoe per lo figlio è mal contenta,
     Che fece in Cervo trasformar Diana.
     Agave ogni hor s’affligge, e si tormenta,
     Che fu nel suo figliuol troppo inhumana.
     Fra tutte le sorelle è sol questa una,
     Che và d’ogni dolor sciolta, e digiuna.

Tutto quel fa, che in mio dispregio puote
     Questa de’ figli altera, e de la sorte,
     Ch’altro non dice mai, che del nipote,
     Bastardo de l’ infido mio consorte.
     E con superbe, e gloriose note
     De’ primi il fa de la celeste corte,
     E tanto questo essalta, e gli altri annulla,
     Che la potentia mia non v’è per nulla.