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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/143

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Le furie entrar con viso acro, e dimesso,
     E con cortese, e furioso invito
     Fan l’amica Giunon, che bene spesso
     La fanno ire in furor per lo marito.
     Come è dentro la Dea, si vede appresso
     Tito, ch’ in terra ingombra tanto sito,
     Co i larghi, e lunghi e grossi membri suoi
     Quanto ara in nove giorni un par di buoi.

Le membra più vitali, e più secrete
     Un’ avoltor continuo à Tito offende.
     Si muor di fame Tantalo, e di sete,
     Ha ciò, che vuol; ma v’è chi gliel contende.
     Ruota Ission, ne può trovar quiete,
     Hor va sotto, hor va sopra, hor sale, hor scende.
     E ’n questa eterna pena si distrugge,
     Ch’ei medesmo se stesso hor segue, hor fugge.

Sisifo vuol pur porre il sasso, dove
     Forz’è, che ’l cader suo si rinovelli.
     E quelle, che scannar quarantanove
     In una notte miseri fratelli,
     Voglion l’acque portar, che in copia piove
     Nel fondo, ove tant’occhi hanno i crivelli.
     E con perpetua, e raggirata foggia
     Pioggia la fonte vien, fonte la pioggia.

Al girato Ission le luci volse
     Di novo la Reina de gli Dei,
     Che si ricorda quel, che far le volse,
     Nel tempo, che credendo abbracciar lei,
     Una nube in suo scambio in braccio accolse,
     Onde il poser la giù fra gli altri rei.
     Di novo anchor ver Sisifo s’affisse,
     E mostrollo à l’Erinni, e cosi disse.

Questi è ben condennato à pena eterna,
     Per esser suto al mondo involatore,
     Ma ’l suo fratello altier Thebe governa,
     E regge à modo suo l’Imperadore.
     Che offende ogni hor la maestà superna,
     Sprezzando il nostro culto, e ’l nostro honore.
     E la cagion de l’odio manifesta,
     E del viaggio suo laqual fu questa.

Che la stirpe di Cadmo alta, e superba
     Mancasse; e non dovesse andar più avante,
     Per cagion nova, oltre il rancor che serba,
     Che Giove à due di lor sia stato amante.
     E tal cerca di lor vendetta acerba
     Ch’Ino cada in furore, et Athamante.
     A l’ira il suo parlar ben corrisponde,
     Che imperio, e preghi, e premij in un confonde.

Per far veder l’infuriata faccia
     Al lume de l’inferno atro, e notturno,
     Tesifone dal volto i serpi scaccia,
     E parla à la figliuola di Saturno.
     Hoggi non passerà, che non si faccia,
     Ritorna pure al lume almo, e diurno.
     Lieta ella và, d’ambrosia Iri l’asperge,
     E d’ogni male odor la purga, e terge.

La furiosa Furia in furia prende
     D’ insania sparsa una facella e sangue,
     E quella in furia in Flegetonte accende,
     Ma prima con furor si cinge un angue.
     Si parte da l’ inferno, e al Sole ascende,
     Va seco quel, ch’ogni hor si duole, e langue,
     Io dico il miser Pianto, e ’n compagnia
     Vi va il Terror, la Rabbia, e la Pazzia.

Come la compagnia rabbiosa giunge
     A l’infelice d’Athamante porta,
     Trema l’acero, e ’l ferro, e ’l Sol va lunge,
     La casa, e l’aria vien pallida, e smorta.
     La face in tanto dà nel legno, e ’l punge
     Con quello estremo, ove la fiamma è morta.
     Cade à un tratto la porta, e un romor suona,
     Che tutta quanta la contrada introna.

Prima Ino sbigottisce, indi il consorte
     L’infelice sorella di Megera,
     Tosto che fa cader le regie porte
     De la superbia lor regia, et altera.
     Ma ben si sbigottiscono più forte,
     Come compar la mostruosa schiera,
     Volean fuggir, ma d’huopo eran le penne,
     Che la donna infernal la porta tenne.