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Era l’irata Dea disposta in tutto,
Di dar la figlia al ciel, torla à l’inferno,
Ma non vollero i fati, che già un frutto
Gustato havea contra il decreto eterno,
L’havea il sudor tanto il palato asciutto,
Che ritrovando nel giardino Averno
Molti pomi granati, ne prese uno,
E ruppe prima il pomo, e poi il digiuno.
Orfne già piacque al torbido Acheronte,
La qual Naiade fu de le mort’acque,
Ninfa la giù di non ignobil fronte,
E ’n quei scuri antri al fin con lei si giacque.
Di questa donna Stigia, e questo Fonte
Ascalafo nomato un figlio nacque,
Costui mangiar la vide, e al Re notturno
Accusò la nipote di Saturno.
Non pensò allhora Ascalafo all’errore,
Che ’l corvo fe, ne à quel, che gl’intervenne,
E perch’ei fu cagion, ch’à lo splendore
Del più lodato regno ella non venne,
Sdegnò la Dea del tenebroso horrore,
E tutto il fe vestir di smorte penne,
E gli fe, in quel, che l’ammantar le piume
Più picciolo ogni membro eccetto il lume.
Fece del molle labro un duro rostro,
Curvo, e d’augel, che viva de la caccia,
Fa, che fra gli altri augei rassembra un mostro
La grande, altera, e stupefatta faccia.
Non move avezzo ne l’ infernal chiostro
Di giorno à volo mai l’ inerti braccia.
Si fece un Gufo, e anchor suo grido è tale,
Ch’ovunque il fa sentir predice il male.
Non è chi sia nel mondo peggio visto
D’un, che rapporta ciò, che sente, e vede,
Ne più dannoso, e scelerato tristo,
Senza amor, senza legge, e senza fede.
Tal che s’ei fè di quelle penne acquisto,
Conforme al merto ottenne la mercede,
Cosa, che non avenne à le Sirene,
Ch’in peggio si cangiar per oprar bene.
Che come è ver le virtuose, e belle
Sirene in questa parte il bene opraro,
Fur tre gratiosissime sorelle,
Figlie al fiume Acheloo, che si trovaro
Cogliendo i fior con molte altre donzelle,
Quando l’eterne tenebre involaro
La figlia di colei, ch’anchor commove
Con pianto, e con parole il cielo, e Giove.
Ogni parte cercar, ch’ ingombra il mondo
Queste afflitte sorelle per trovarla,
Volean ne l’aria gir, nel mar profondo
Fra i pesci, e fra gli augelli à ricercarla;
Ma ritrovar che ’l lor terrestre pondo
Impedia lor la via da seguitarla,
E fatto à gli alti Dei di questo un voto,
Benigni à lor donar le penne, e ’l nuoto.
Tosto questo, e quel piè si fan di pesce
Due code atte à notar ne’ fusi sali.
Ne l’una, e l’altra man la piuma cresce,
E fansi ambe le braccia due grand’ali.
Il viso sol del suo splendor non esce
Per non privar del lor canto i mortali.
Fur si felici, e nobili nel canto,
C’havean per tutto il mondo il grido, e ’l vanto.
La cercar poi fra i pesci, e fra gli augelli,
Volar per l’aria, e s’attuffar nel mare,
Ne fra gli spirti apparse aerij, e snelli,
Ne fra l’alme, che ’l mar suole informare.
Perch’ella fra i demonij oscuri, e felli,
La madre innanzi à Giove era à pregare,
Che non facesse il suo santo decreto
La sorella scontenta, e ’l frate lieto.
Dal Re del più felice alto soggiorno
Le liti al fin fur giudicate, e rotte,
Fra lei, ch’anchor piangea l’havuto scorno,
E fra il rettor de le tartaree grotte,
E fe, che stesse fuor sei mesi al giorno,
Sei mesi dentro à la perpetua notte
Proserpina, hor fra lor l’anno hà partito,
E si gode hor la madre, hora il marito.