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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/219

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Se de la figlia tua cerchi il contento,
     Se del genero tuo brami la pace,
     Fà, ch’io possa condur co’l primo vento
     L’altra figliuola tua nel regno Trace.
     Mentre, che ’l Re di Tracia apre il suo intento,
     E dispor cerca il Re, ch’ascolta, e tace;
     Fra molte Filomena ivi risplende,
     E la favella sua nel mezzo fende.

Come sà, che ’l cognato è già in Athene
     Di Progne la bellissima sirocchia,
     Con ricco habito, e vago à lui ne viene,
     E giunge, e piega il ciglio, e le ginocchia.
     Come il Re Tracio in lei lo sguardo tiene,
     E le divine sue bellezze adocchia,
     E de begli occhi suoi la dolce fiamma,
     D’amoroso desio tutto s’ infiamma.

Come talhor le belle Driadi vanno
     Con la più bella assai diva di Delo,
     Cosi ne và costei ricca del panno,
     Ma molto più del bel corporeo velo,
     Fra donzelle si splendide, che fanno
     Fede fra noi de la beltà del cielo,
     Ma di beltà, d’adornamento, e d’oro
     Più bella è in mezzo à lor la Delia loro.

Si dan la man da questo, e da quel lato,
     Si fan gl’inchini, e i santi abbracciamenti
     Fra la vergine bella, e ’l suo cognato,
     Come usan rivedendosi i parenti:
     E poi che l’uno à l’altro hà dimandato
     Di molti lor congiunti, e conoscenti,
     Per man l’Attico Re di novo piglia
     Il Tracio, e fa, che siede egli, e la figlia.

Quanto hà più in lei Tereo le luci intese,
     Tanto più s’innamora più s’accende,
     Spinto da la natura del paese,
     Ch’à Venere ogni cura, ogni opra impende,
     Non vuol fatiche risparmiar, ne spese,
     Ma di goderla in ogni modo intende,
     Se ben dovesse fare ogni atto indegno,
     Se ben dovesse spender tutto ’l regno.

Troppo gli par dover esser felice,
     Se può venire al desiato intento
     Con quella, ch’esser può la sua beatrice,
     Che sola in tutto il può render contento.
     Vuol corromper la fè de la nutrice,
     Quanto può Tracia dar d’oro, e d’argento,
     D’ornamenti, di gemme, e d’ogni bene,
     Tutto al parto vuol dar del Re d’Athene.

S’altro non può, vuol torla à la sua terra
     Per forza, e darla al suo regno iracondo,
     E per serbarla à se prender la guerra
     Contra tutta la Grecia, e tutto ’l mondo.
     Ahi, che non osa Amor, se ben s’afferra,
     Quando passa per gli occhi al cor profondo.
     Acceso hà il cor del Re già di tal foco,
     Che ’l petto à tanta fiamma è picciol loco.

Più sopportar non può l’indugio, e spiega
     Di novo al suo mandato la favella,
     E per la figlia il Re conforta, e prega,
     Che possa riveder la sua sorella.
     Amor facondo il face, e non gli nega
     Ogni forma di dir più vaga, e bella.
     E mentre mostra far servitio altrui
     L’infiammato amator prega per lui.

E se pur nel pregar passa l’honesto,
     Sopra la moglie sua scusa il suo torto,
     E dice, io non sarei tanto molesto,
     S’io non havessi il suo gran pianto scorto.
     Gocce di duolo sopragiunte in questo
     Voler nasconder mostra il Trace accorto,
     Co’l lin quel passo asconde, ond’egli vede,
     E acquista à l’empio cor fingendo fede.

Ó sommi Dei, che tenebroso inferno
     Ingombra un petto misero mortale,
     Come gli fa si cieco il lume interno,
     Che conoscer non sappia il ben dal male?
     Tereo dal gesto, e dal colore esterno
     È giudicato pio, santo, e leale,
     Essendo empio, et ingiusto, e pien di frode,
     E dal delitto acquista honore, e lode.