Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/275

Da Wikisource.

Se ’l ben fregiato acciar d’oro, e d’argento
     Gli armava il petto, il volto, e ogni altra parte,
     E di prudenza armato, e d’ardimento
     Spingea il caval ne l’aversario Marte,
     Ne facea cader tanti in un momento,
     Con tanta sicurtà, fortezza, et arte,
     Che ’l giudicava à gli atti, e à la persona
     Il fratel formidabil di Bellona.

Snodava il braccio nel lanciare un dardo
     Con una leggiadria tanto spedita,
     E ’l facea gir si ratto, e si gagliardo
     Senza incommodo alcun de la sua vita,
     Che colei, che v’havea fermo lo sguardo,
     Sentia sempre nel cor nova ferita:
     E tutto quel, ch’uscia dal suo valore,
     Contra lei novo strale era d’amore.

Scilla (cosi havea nome la donzella)
     Mentre à l’arco ei talhor fea curvo il corno,
     Onde uscian si veloci le quadrella,
     Ch’al folgore del ciel fatto havrian scorno,
     Pareale à la maniera adorna, e bella
     Veder tirar l’apportator del giorno,
     D’ogni atto suo sentiasi il cor conquiso,
     Ma molto più s’havea scoperto il viso.

S’ella il vedea tal hor reggere il morso
     Nel maneggiarlo, al suo forte destriero,
     Murato gliel parea veder su’l dorso,
     Tanto vi stava sù costante, e fiero.
     Ó che ’l voltasse, ò chel pingesse al corso,
     Ó ch’al salto il movesse atto, e leggiero,
     Vedea il destrier servir d’ogni atto à pieno,
     Tanto ben s’ intendean gli sproni, e ’l freno.

D’ogni maniera sua godea talmente,
     (In modo n’era vaga, e ne stupiva),
     Che più non possedea sana la mente,
     Anzi si l’havea Amor del senno priva,
     Che vinta dal desio soverchio ardente,
     Spesso in questo parlar le labbra apriva.
     Deh, perche non poss’ io metter le piume,
     Per goder più da presso il tuo bel lume.

Perche non ho per accostarmi l’ale
     À la tua ambrosia, à la tua dolce bocca?
     Perche non son quel freno, ò quello strale,
     Che la tua bella man sostiene, e tocca?
     Perche non lece al mio stato mortale
     Di potermi gittar da questa rocca?
     Ne tanto mi dorria, ch’ io ne morrei,
     Quanto, che ’l mio desir non empierei.

Perche non lece à la mia regia sorte
     Movere il piè per lo nemico campo?
     Perche le guardie, e le serrate porte,
     Fanno al cupido Amor trovare inciampo?
     Che s’io potessi te far mio consorte,
     Per cui tutta di ghiaccio ardo, et avampo,
     Io spregierei l’amata patria, e ’l padre
     Per introdur le tue nemiche squadre.

Oime, debb’io dolermi, ò rallegrarmi
     De la dubbiosa guerra, che ci fai?
     Mi duol, che contra me tu movi l’armi,
     Che del mio proprio cor più t’amo assai.
     Ma per qual’ altra via potea Amor darmi
     Occasion, ch’ io ti vedessi mai?
     Non potea Amor con più prudente aviso
     Mostrarmi il tuo valore, e ’l tuo bel viso.

Quanto felice havrei la sorte, e Amore,
     Se ’l padre mio mancando di coraggio
     Homai ceder volesse al tuo valore,
     E secondo il cor tuo pagarti homaggio.
     E per assicurarti del suo core
     Ti desse me per pegno, e per ostaggio,
     Che per dar refrigerio à tanto foco,
     Troverei forse il mezzo, il tempo, e ’l loco.

Ó sopra ogni altro Re bello, et adorno
     D’ogni don che può il ciel dar, più perfetto.
     Ó felice colei, ch’arricchì il giorno
     D’un si leggiadro, e si divino aspetto.
     Se ’l Re del più beato alto soggiorno
     Degno de gli occhi suoi la fece obbietto,
     S’ella havea il bello eguale al bello, ond’ardo,
     Meglio il cor non potea locar, ne ’l guardo.