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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/278

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Da poi, che ’l Re giustissimo Ditteo
     Le leggi impose à superati regni,
     Co’l campo, che levar subito feo,
     Prese il camin verso i Cretensi legni.
     Il vinto Re del popol Megareo
     L’accompagnò con gli huomini più degni
     Insino al porto, e tutto humile, e fido
     Montar su’l legno il vide, e torsi al lido.

Tosto, che vede dare i remi à l’onde
     Colei, da cui fu al padre il regno tolto,
     E ch’al suo amore il Re non corrisponde,
     Ma senza lei dal lido il legno ha sciolto,
     Si straccia ad ambe man le chiome bionde,
     Si graffia, e si percote il petto, e ’l volto.
     In parte ascosa à gli altri si ritira,
     E poi cosi dà fuora il duolo, e l’ira.

Ó sordo più d’ogni crudo aspe, e fero,
     Dove mi lasci, oime? son pur quell’ io,
     Che ti fo gir de la vittoria altero
     Co’l don, ch’io ti portai, co’l fallo mio.
     Ahi, che per satisfare al tuo pensiero,
     Offesa ho la mia patria, il padre, e Dio:
     Et ho preposto te per troppo amore
     Al regno, al padre, et al mio proprio honore.

Oime, ch’eri venuto si discosto
     Con tanto or, tante genti, e tante navi,
     E ben ch’havessi à noi l’assedio posto,
     Le genti, e l’oro in van perdendo andavi:
     Ne mai n’havresti il regno sottoposto,
     S’io non poneva in tuo poter le chiavi.
     Ne ’l don, c’hor te ne fa portar la palma,
     Ne tanto amor può intenerirti l’alma.

Oime, che pur dovea pietà impetrare
     L’haver sol posta in te la mia speranza.
     Oime crudel, qual terra, oime qual mare
     Darà ricetto al viver, che m’avanza?
     Debbo à la patria mia forse tornare?
     Ma con che core oime, con che baldanza?
     Se non v’habbiam più imperio, e s’io son quella,
     Che di donna real l’ho fatta ancella?

Ma poniam, ch’anchor proprio habbia il governo,
     E sia di splendor regio alta, e superba,
     Come al cospetto mai n’andrò paterno,
     Ver cui fui tanto infida, e tanto acerba?
     Dove ogni cittadino, et ogni esterno
     Contra l’eccesso mio l’odio anchor serba?
     Temon tutti i propinqui un cor tant’empio,
     Perch’altrui di mal far non porga essempio.

Ahi, ch’io m’ho chiusa ogni parte del mondo,
     Perche sola mi fosse aperta Creta.
     Hor se ’l tuo cor ver me fatto iracondo,
     La tua provincia anchor mi chiude, e vieta,
     Chi darà luogo al mio terrestre pondo?
     Chi sarà, che ver me si mova à pieta?
     Se tu, ch’altier de la vittoria vai
     Per lo mio don, di me pietà non hai?

Figlio d’Europa tu già non puoi dirti,
     Di sangue regio, ò di celesti Numi,
     Ma ben ti parturì l’infida Sirti,
     Le tigri armenie, in atri hispidi dumi.
     E quando il tuo mortal formar gli spirti,
     Nel ciel reggeano i più maligni lumi,
     E ti diè il loro influsso infame, e crudo
     Un cor d’ogni pietate in tutto ignudo.

La madre tua non t’ hà spiegato il vero,
     Con dir, che Giove à lei toro si finse,
     E diella à Creta dal Sidonio impero,
     Dove à suo modo poi sforzolla, e vinse.
     Se vuoi saper di questo il fatto intero,
     Con vero toro amor ligolla, e strinse,
     E certo fù, che i tuoi parenti foro,
     Una donna ferina, un fiero toro.

O soggette, infelici, e triste mura
     Da me tradite, ò voi mesti parenti,
     Godete de la mia disaventura,
     De la mia sorte rea, de miei lamenti.
     Deh padre offeso mio prendi homai cura,
     Ch’ io sia donata à gli ultimi tormenti.
     Deh corra un de gli offesi à le mie strida,
     E poi ch’empio è l’errore, empio m’uccida.