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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/284

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Quando Arianna misera fu sciolta
     Dal sonno, che lo spirto havea legato,
     Ne del tutto anchor desta il viso volta,
     Dove crede trovar l’amante ingrato.
     Stende l’accesa man più d’una volta,
     Poi cerca in vano anchor da l’altro lato,
     In van per tutto i piè move, e le braccia,
     Tal, che ’l timor del tutto il sogno scaccia.

S’alza, s’ammanta, e con furor s’aventa
     Dal fatto poco pria vedovo letto,
     E ’l crine, e ’l panno inconta il freno allenta
     Ad ogni mesto, e doloroso affetto;
     E và spinta dal duol, che la tormenta,
     Stracciando il crine, e percotendo il petto,
     E dando al ciel mille angosciose strida,
     Dove lasciato havea la nave infida.

Guarda s’altro veder, che ’l lito puote,
     Ne puote altro veder, che ’l lito istesso.
     L’alte sue strida, e le dolenti note
     L’amato nome in van chiamano spesso.
     Quel suon nel cavo sasso entra, e percote,
     E ’l sasso per pietate il chiama anch’esso.
     Ella chiama Teseo, Teseo la pietra,
     Ne quella, ò questa la risposta impetra.

Mentre corre per tutto, e ’l suo cordoglio
     Sfoga con alte strida, alzarsi scorge
     Un’aspro, incolto, e ruinoso scoglio,
     Ne la cui cima arbusto alcun non sorge,
     Percosso dal marin continuo orgoglio,
     E curvo, e molto in fuor su’l mar si porge.
     Sù per l’erto camin montar si sforza,
     E l’animo, ch’ell’ha, le dà la forza.

Quivi ella vide , ò pur veder le parve,
     Che la luce anchor dubbia era del cielo,
     Per gire, ù già nel ciel Calisto apparve,
     Un legno haver fidato al vento il velo.
     Tosto il vivo color dal volto sparve,
     E cadde in terra più fredda, che ’l gielo.
     L’atterra, e d’ogni senso il duol la priva,
     E poi lo stesso duol la punge, e avviva.

Si leva, e con questa ira, e questo sdegno
     Scopre il dolor che strugge il cor profondo;
     Dove fuggi crudel? guarda, che ’l legno
     Non ha il numero suo, non ha il suo pondo.
     Non son si gravi i membri, ch’io sostegno,
     Che debbian l’arbor tuo mandare in fondo.
     Se l’alma mia crudel se ne vien teco,
     Perche non fai, che ’l suo mortal sia seco?

Non dei soffrir, che vaga del suo obbietto
     T’ habbia l’alma à seguir fuor del suo nido.
     Cosi del crudo suo noioso affetto
     Fà risonar d’ intorno il mare, e ’l lido.
     E percote le man, percote il petto,
     E co’l gesto accompagna il debil grido.
     Porta via intanto l’Austro empio, e veloce
     L’Attiche vele, e la Cretense voce.

Visto poi, che la voce afflitta, e mesta
     Di passar tanto in là forza non have,
     Accenna con la mano, e con la vesta,
     Ch’essi han lasciato in terra un de la nave.
     La nave se ne và felice, e presta,
     Ne vuol per cenni altrui farsi più grave:
     E mentre ella più accenna, e si querela,
     Vede in tutto sparir l’ingrata vela.

Gli occhi per tutto il mar raggira, e volta,
     Stride, e si fiede, e ’l crin rompe, e disface.
     Corre di quà, di là, chiama, et ascolta,
     Hor alza il grido, hor dà l’orecchie, e tace.
     Come maga suol far, quand’ebbra, e stolta,
     Lo Dio, c’ha in sen, vaticinar la face,
     Che sparso il crin fra varij cerchi, e segni
     S’aggira, e grida, e fa mill’atti indegni.

Talhor guardando il mar su’l sasso siede,
     Con lo spirto si stupido, e si lasso,
     E cosi ferma stà dal capo al piede,
     Che non par men di pietra ella, che ’l sasso.
     Stà cosi alquanto, e poi, che si ravvede
     Ver l’albergo notturno affretta il passo,
     E crede anchor trovarlo, e si conforta,
     Ne la speranza in lei del tutto è morta.