Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/299

Da Wikisource.

Fate me inferne Dee si ardita, e forte,
     Ch’al foco ardisca dar la carne propia,
     Che con la morte io vò placar la morte,
     Et à l’essequie far d’essequie copia,
     E poi, che ’l dà la mia perversa sorte,
     Non voglio al fallo far del fallo inopia.
     Per mille pianti raddoppiati, e mille
     Questa fiamma crudel vò, che sfaville.

Adunque il Re di Calidonia altero
     De la vittoria andrà del crudo figlio?
     E Testio il padre mio con manto nero
     Basso havrà sempre, e lagrimoso il ciglio?
     Meglio è, che l’uno, e l’altro provi il fero
     De la sorte crudel funebre artiglio,
     E vadan ambedui colmi di pianto
     Havendo afflitto il core, oscuro il manto.

Hor voi pur dianzi dal mortal sostegno
     Sciolt’ anime prendete il buon desio,
     L’essequie, che vi compra hoggi il mio sdegno
     Co’l sangue, e non con l’or del figliuol mio.
     Ecco del ventre mio l’ iniquo pegno,
     La materna pietà posta in oblio,
     Per la troppa barbarie, ch’ in lui scorgo,
     À divorare à queste fiamme io porgo.

Oime, dunque havrò il cor tanto inhumano?
     Dove mi lascio io trasportar da l’ira?
     Perdonate fratelli à la mia mano,
     Se da cotanta infamia si ritira.
     Ben sà, che ’l face il suo delitto insano
     Degno di perder l’aura, ond’ei respira:
     Ma non le par ragion, ne giusta voglia,
     Ch’io, che già il diedi al mondo, al mondo il toglia.

Dunque ei di tanto error se n’andrà sciolto?
     E senza i miei fratei godrà la luce?
     Per la vittoria tumido nel volto ?
     Per esser sol di Calidonia Duce ?
     E ’l corpo vostro hor hor sarà sepolto
     Nel rogo, che per voi s’accende, e luce?
     E voi, per cui lo ciel più non si volve,
     Giacerete fredd’ombre, e poca polve?

Nò, muora pur lo scelerato, e cieco,
     Muora per man de l’ infelice madre,
     E la ruina de la patria seco
     Tiri, con la speranza alta del padre.
     Vada pur à goder lo Stigio speco,
     Et lasci il regno in vesti oscure, et adre.
     Misera, che vuoi far? chi ti trasporta?
     La materna pietà dunque è in te morta?

Dunque empia madre à mente non ti torna
     Quanto per lui sofferto il tuo seno have?
     Che nove volte rinovò le corna
     Delia, mentre egli il sen ti fece grave.
     Dunque da tanto mal non ti distorna
     L’età sua pueril, già si soave?
     Dunque il tuo cor colui d’arder non teme,
     In cui del regno suo fondò la speme?

Piacesse à gli alti Dei, che nei prim’anni,
     Quando questo troncon fu dato al foco,
     Visto havessi di te gli ultimi danni
     Quei, che temo vedere in questo loco.
     Che lasciato havess’io battere i vanni
     Al lume, che n’havea già roso un poco.
     Tu vivi per mio don, ch’ io l’ ho sofferto,
     Ma muori, se morrai, per lo tuo merto.

L’alma havesti da me la prima volta,
     Quando co’l parto mio t’offersi al lume:
     L’altra, quando fu poi la verga tolta
     Al foco, e ch’io lasciai per te le piume.
     Hor se’ l’alma io ti toglio, e vò che sciolta
     Dal suo mortal vada al tartareo fiume,
     Se tu se’ ingrato, ingiusta io già non sono,
     Se l’havesti da me due volte in dono.

Rendi homai disleal l’anima, rendi,
     E tu Parca crudel tronca lo stame.
     Ah madre iniqua, e ria, che fare intendi?
     Vuoi diventar per tal vendetta infame?
     Non vedi tu, quanto te stessa offendi,
     Se sciogli al figlio il suo vital legame?
     Misera il veggo, ah quanto è il mio cordoglio,
     Che vò, e non posso; e poi posso, e non voglio.