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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/304

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Come poser gli Dei lì dentro il piede,
     L’antico Filemon cortese, e saggio,
     Che i peregrini affaticati vede
     Non da gli affanni sol, ma dal viaggio,
     Per ciaschedun di lor porta una sede
     D’un mal disposto, e ben tarlato faggio.
     Tosto sopra vi pon l’accorta moglie
     Per fargli riposar due vecchie spoglie.

Prende la vecchia poi l’aride legna,
     E inginocchion desta il carbone, e ’l foco,
     E fà, che l’un troncon l’altro sostegna,
     Ma in modo, ch’à la fiamma habbia à dar loco.
     Nel carbon vivo poi mandar s’ ingegna
     Lo spirto unito suo senile, e poco,
     Perche co’l suo vigor la frasca accende,
     E risoluto in fiamma arda, e risplende.

Un picciol rame concavo indi appende
     À la fuliginosa atra catena,
     Pien d’una pura fonte, dove intende
     Di far bollir la rusticana cena.
     Nel picciol horto intanto il vecchio prende
     Di molte herbe opportune ogni man piena,
     E le porge à la moglie, e anch’ei s’adopra,
     Perch’ogni erba si purghi, e ponga in opra.

Quell’herbe, che vuol por, sceglie la moglie
     À cocer per la cena, e l’apparecchia.
     Filemone il radicchio in un raccoglie
     Con la sinistra man debile, e vecchia.
     La destra co’l coltel taglia le foglie,
     E dalle assai minute ad una secchia,
     E le lascia purgar ne l’onde chiare,
     Perche poi nel mangiar sian meno amare.

Prende poi il vecchio la bicorne forca,
     E và, dove gliè d’huopo, e ’l capo leva,
     E guarda in alto, et uno uncino inforca,
     Ch’una spalla di porco alto teneva.
     Dal fumo, e da la polve oscura, e sporca
     La prende, e co’l coltel, ch’à lato haveva,
     Ne taglia, e purga una mezzana fetta,
     E dalla al rame poi purgata, e netta.

Perche non paia à lor lungo il soggiorno,
     Tal volta scioglie à la sua lingua il nido,
     E và passando l’otioso giorno
     Con rustiche sentenze, e rozzo modo.
     V’era un gran vaso lavorato al torno
     Di faggio, ch’appiccato era ad un chiodo;
     L’empie poi, che la vecchia l’hà ben netto,
     D’acqua, c’havea scaldata à questo effetto.

La porta à forestieri, e lor rimembra,
     Che giungendo à l’albergo il viandante,
     Dee tal volta lavar le stanche membra,
     E ristorar l’affaticate piante.
     Questa à gli Dei ben carità rassembra
     D’anime veramente elette, e sante.
     Accettano il cortese almo costume,
     Indi entran ne le lor povere piume.

Nel letto di secc’herba di palude,
     Che di salce havea i pie, l’asse, e le sponde,
     Vanno à posar gli Dei le membra ignude,
     Su’l posto bianco lin sopra la fronde.
     Fra le due tele alquanto grosse, e crude,
     Ma di bucato, il lor corpo s’asconde.
     Copre la tela poi d’una vil vesta,
     Ch’usavan porvi il giorno de la festa.

Pon la succinta vecchia il desco intanto,
     Che posa su tre gambe male intese,
     E ’l terzo piede have ineguale alquanto,
     Benche un rotto piattello eguale il rese.
     Fatta la mensa egual di lino un manto
     Bianco, ma rotto alquanto, vi distese:
     Con le man poi, ver la pietà non scarse,
     Di menta, e varij fior tutta la sparse.

Due vasi havea di terra cotta, e dura,
     Da ber l’un novo in tutto, e l’altro usato,
     Gli lava con la fonte fresca, e pura,
     E pon la miglior coppa da quel lato,
     Nel qual dovean ristoro à la natura
     Dar gli hosti, che già il letto havean lasciato,
     E per ridirlo à l’alme alte, e divine
     Volean del loro amor, vedere il fine.