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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/311

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Già in buona parte diminuto havea
     La facultà ricchissima paterna,
     Ne però diminuta esser vedea
     Per tanto divorar la fame interna.
     Ne l’ inghiottir perpetuo empir potea
     La sempre voracissima caverna.
     Ma à pena al pasto havea dato ricetto,
     Che si dolea d’haver digiuno il petto.

Poi che giù per la canna ampia, e profonda
     Tutto il suo patrimonio hebbe mandato,
     Gli restava una figlia alma, e gioconda,
     Non degna di tal padre, e di tal fato.
     Hor poi, che d’altro bene ei non abonda,
     Per satisfare à l’avido palato,
     Con la solita mente empia, e proterva
     Vende la carne propria, e falla serva.

Ella, che generosa à maraviglia
     Era, et havea la servitute à noia,
     La lingua al Re del mar volse, e le ciglia,
     C’hebbe da lei già l’amorosa gioia.
     Qualche partito, ò Dio de l’onde piglia
     À la ria servitù, che si m’annoia:
     E s’io ti piacqui mai, per premio chieggio,
     Che m’ involi à costui, cui servir deggio.

Non disprezza il suo prego il Re de l’onde,
     E ben ch’al suo signor foss’ella avante,
     Subito cangia à lei le chiome bionde,
     E ’l suo leggiadro angelico sembiante.
     E sotto un volto d’huom la donna asconde,
     C’have una canna in man lunga, e tremante,
     Con cui su’l lido s’affatica, e pesca,
     Gittando in grembo à l’onde il ferro, e l’esca.

Lo stupid’huom, che più colei non vede,
     Con cui credea goder l’infami piume,
     S’aggira intorno, e guarda, e indietro riede,
     E non può riveder l’amato lume.
     Poi che quivi non scorge altro, ne chiede
     Al pescator del tridentato Nume,
     Dimmi, se ’l Re del mar sempre sia teco,
     Dove è gita colei, ch’era qui meco.

Se ’l mare ogn’ hor ti sia muto, e composto,
     E à l’esca dia favor, che ’l pesce appella,
     Dov’ha la donna il suo volto nascosto,
     Ch’innanzi à me venia povera, e bella.
     Non sò, dove il suo piede habbi riposto,
     Più lunge non appar l’orma novella.
     Se ’l pesce l’esca tua credulo imbocchi,
     Dimmi, come m’è sparsa innanzi à gli occhi.

Conosce allhor, che ’l Re de l’onde Metra
     La gratia, onde pregò, l’have concessa,
     E s’allegra fra se, mentre egli impetra
     Da lei, che nova à lui dia di se stessa.
     E con questo parlar da se l’arretra,
     E al proprio albergo il fè tornar senz’essa.
     Ignoto peregrin da queste sponde
     Io non ho gli occhi mai tolti à quest’onde.

E cosi il Re del mar porga à quest’arte
     Quel liberal favor, ch’io le desio,
     Come d’huom non ho visto in questa parte
     Altro segnal, che ’l tuo vestigio, e ’l mio.
     Scornato il comprator da lei si parte,
     Senza poter dar luogo al suo desio.
     Et ella, che di lui più non ved’orma,
     Si sente ritornar la prima forma.

Quindi ritorna, e conta al suo parente
     Come ella apparse hor pescator, hor donna.
     Come da lei l’ingordo padre sente,
     Che può, se vuol, cangiar l’humana gonna,
     Costretto da la fame immantinente
     Fà, ch’un nuovo signor di lei s’indonna.
     Cangia ella, per fuggir, l’alme, e leggiadre
     Membra, e si fà giumenta, e torna al padre.

Vende poi il padre, e cinque volte, e sei
     L’amabil viso, e d’ogni gratia adorno,
     E quanto pregio haver puote di lei,
     Tanto al ventre ne dà lo stesso giorno.
     Usando ella i suoi inganni ingiusti, e rei,
     Tutti, che la comprar, lasciò con scorno.
     Hor bue si fece, hor corvo, et hora augello
     Per dar l’esca non giusta al padre fello.