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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/319

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Se ben cadere à lei più capi scorsi,
     Non mai n’ancisi alcun senza due heredi:
     Ogn’ hor, ch’ io l’oltraggiai, favor le porsi,
     Ch’à me nemici, à lei soccorso diedi.
     Fin posi al fine à suoi infiniti morsi,
     E morta me la fei cadere à piedi,
     Se bene hebbe dal fato, e da la sorte,
     Che più che si feria, venia più forte.

Se l’Hidra, che prendea forza dal male,
     Domata, e senza luce al fin rendei,
     Ben di te havrò la palma trionfale,
     Ch’una minima parte sei di lei.
     E più, che la tua forma non è tale,
     Ma dragon falso, e trasformato sei.
     Se contra i serpi naturali ho vinto,
     Che farò, s’havrò contra un serpe finto ?

Hor mentre il falso mio vipereo morso
     S’arma contra il valor via più c’humano,
     E serpendo ver lui spiego il mio corso,
     Et ei mi schiva, e ’l mio pensier fa vano:
     Cerca di pormi entro à la bocca un morso,
     E chiusa al dente mio stende la mano.
     Io vò per afferrarla, e di lungo erro,
     Ch’egli apre il pugno, e fa, ch’un lino afferro.

Del manto del Leon credo, che tolse
     Quel lin, c’havea dentro al suo pugno ascoso.
     Dapoi, ch’ imprigionò secondo ei volse
     La tela opposto il dente insidioso,
     Fra le due man mi strinse il collo, e avolse;
     E mi diè quasi à l’ultimo riposo.
     Parea, ch’ una tenaglia mi stringesse,
     Talmente mi tenea le fauci oppresse.

Io con la coda pur m’aiuto, e scuoto,
     Per uscirgli di man con molta rabbia,
     E l’ indurate gambe gli percoto,
     Ne posso trovar via, ch’ à lasciar m’habbia.
     Al fin cangiando forma mi riscuoto,
     E già co’l pie del bue stampo la sabbia.
     S’allarga il volto, e fà, ch’egli apre il pugno,
     Et io co’l corno altier di novo pugno.

Tosto, ch’ un’altra forma mi possiede,
     E c’ho di bue le corna, il volto, e ’l pelo,
     Affretto contra lui l’irato piede,
     Per torlo su le corna, e darlo al cielo.
     Di novo ei ride subito, che vede,
     Ch’io copro l’alma mia sott’altro velo,
     E mostra al riso, e al ciglio men di prima
     Tener del corno mio cura, ne stima.

Mentre, ch’ io corro, ei stà fermo à l’incontra,
     Ma come appresso à lui condotto ho il passo,
     Si trahe da parte, e meco non si scontra,
     Tal, ch’io per forza trasportar mi lasso.
     Poi che ’l primo disegno non m’ incontra
     D’alzarlo al ciel, perche ruini abbasso;
     Penso voltarmi, e ritentar di novo,
     Ma un corno nel voltar prigion mi trovo.

Che trascorso, ch’ io fui, dietro mi venne,
     Tal, che mi giunse, et afferrommi un corno.
     Subito ch’io sentij, che ’l pugno il tenne,
     Mi scossi, e in van girai la fronte intorno,
     Ne di poterla sprigionar m’avenne,
     Anzi per doppio mio tormento, e scorno
     Nel raggirarmi l’altro corno prese,
     E al fin per forza in terra mi distese.

Io, che cangiarmi più non posso il manto,
     Cerco drizzarmi, e liberar la testa,
     E contra il suo poter mi scuoto tanto,
     Ch’egli mi rompe un corno, e in man gli resta.
     Mentre egli l’alza à l’occhio, e ’l mira alquanto,
     Ne van le ninfe à lui con prece honesta,
     E impetrano al mio mal gratia, e perdono,
     E ’l corno tolto à me, chieggono in dono.

Hercole altier de guadagnati honori
     Ver me fu pio, verso le ninfe grato.
     Elle lui coronar di palme, e allori,
     E ’l celebrar con verso alto, et ornato.
     Di fuor poi il corno ornar d’herbe, e di fiori,
     E dentro d’ogni frutto più pregiato,
     D’ogni più grato don, ch’ offre, e dispensa
     L’Autunno in copia à la seconda mensa.