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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/331

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E quando andar potrà picciol fanciullo
     Tosto, ch’ogni scholar la schola sgombra,
     Fate, ch’à prender venga il suo trastullo
     Presso à la madre sua, sotto quest’ombra:
     E che ’l mio volto human qui venne nullo
     Ditegli, che quest’arbor me l’ingombra.
     E mi saluti, come madre, e dica,
     Quel bosco la mia madre asconde, e implica.

E perche à lui non sia cangiato il busto,
     Quando gli accade andar tal volta attorno,
     Dite, che verso gli arbori sia giusto,
     Ne cerchi, che il lor ramo il faccia adorno:
     E tenga certo pur, che in ogni arbusto
     L’alma di qualche Dea faccia soggiorno.
     E per salvar le sue membra leggiadre,
     Pensi à quei fior, che già colse la madre.

Dolce consorte mio, padre, e sorella
     Da me prendete l’ultimo saluto,
     Che già mancar mi sento la favella,
     Per l’arbore, che troppo è in su cresciuto.
     Hor se non vuol la mia forma novella,
     Che ’l volto inchinar possa anchor non muto,
     Alzate voi le membra al bacio mio
     Co’l figliuol, che già fei, che ’l baci anch’io.

E se qualche pietà vi move, e regge,
     Fate le nove mie membra sicure
     Con la fedel custodia, e con la legge
     Da la man, da la falce, e da la scure.
     E gli armenti lontan stiano, e le gregge,
     Ne sian le fronde mie le lor pasture.
     Rendete il verde legno, ov’io mi serro,
     Dal morso, e da la man salvo, e dal ferro.

Non vi posso altro dir, che me ne priva
     La scorza, che fa à l’alma un’ altro chiostro.
     Togliete da la mia luce anchor viva
     La man, che senza il santo officio vostro
     Vien per chiuderla il legno, il qual già arriva
     Al mento, e tutto asconde il corpo nostro.
     E in questo perde il dir, ne più si dole,
     E lascia à noi le strida, e le parole.

Mentre la mesta, e lagrimosa figlia
     D’Erito il suo dolor conta, e rinova,
     E l’asciuga la socera le ciglia,
     Anchor che l’occhio suo non meno piova;
     Una improvisa, e rara maraviglia
     Fa ch’un congiunto lor, ch’ivi si trova,
     In un momento un’altra forma prende,
     E in mezzo del dolor liete le rende.

Era questi Iolao canuto, e bianco
     Che fu ne’ tempi suoi di gran valore,
     Ne potea fare à l’Hidra essangue il fianco
     L’altier suo zio senza il costui favore.
     Hor mentre, ch’ei si sta debile, e stanco,
     La gioventù racquista, e ’l primo honore,
     E forte, e altier si trova à l’ improviso
     Con la prima lanugine nel viso.

Ne sol si trova haver novo l’aspetto,
     Ma con novo disio, novo pensiero,
     E dove esser solea pien di sospetto,
     Timido, tardo, avaro, aspro, e severo;
     Brama hor la compagnia, cerca il diletto,
     E sprezza l’util suo vano, e leggiero;
     E chi il vuol guadagnare, e piacer farli,
     Sol de l’honore, e del piacer gli parli.

Questa comparsa subito ventura
     Tolse à le meste donne il duolo, e ’l pianto,
     Poi che la sua miglior forma, e natura,
     Splender farà l’albergo Herculeo alquanto.
     Alcide fu, che in ciel si prese cura
     Di torre ad lolao l’infermo manto.
     Alcide in terra, e in ciel l’amò si forte,
     Ch’ottenne questo don da la consorte.

Poi ch’Hercol privo fe del mortal velo
     La forza di Vulcan nel monte d’Eta,
     L’eterno Dio nel più beato cielo
     Con fronte l’abbracciò benigna, e lieta.
     Da poi parlò con tanto affetto, e zelo,
     Che fe Giunone intenerir di pieta,
     Et accettò per figlio Alcide, e in fede
     D’amor la figlia sua sposa gli diede.