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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/352

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Non so in terra trovar, ne in mar, ne in cielo,
     Che femina di femina s’accenda.
     Una non v’è, che l’amoroso zelo
     Tutto à piacer al maschio non intenda.
     Sol io di donna un bel corporeo velo
     Bramo, che del suo amor lieta mi renda.
     Sol’ io vorrei l’ardente mio desio
     Sfogar con donna, e pur son donna anch’io.

Piacesse à gli alti Dei, ch’ io fossi nulla,
     Ch’oltre, ch’ io fuggirei tanto tormento,
     Non si diria, ch’ in Candia ogni fanciulla
     À mostruoso amor drizza il suo intento.
     La figlia di quel Dio, c’hebbe la culla
     Da l’ isola di Delo, amò l’armento.
     Per eterno disnor d’esto paese
     L’amor folle d’un bue l’alma l’accese.

Ma pur men folle amor la figlia strinse
     Del Sol, poi che nel maschio hebbe il pensiero;
     Che ’l fabro al meno à lei la vacca finse,
     E con tant’arte ascose al toro il vero,
     Ch’à l’amoroso assalto al fin l’astrinse,
     E fè, ch’ella il suo amor conobbe intero.
     E potè almen sotto il mentito panno
     Far’ adultero il bue co’l Greco inganno.

Ma inceri pur di novo egli le piume,
     E ’l temerario vol drizzi al mio lito,
     E passi il sal del tridentato Nume
     Per dar rimedio al mio folle appetito,
     Potrà mai del suo ingegno il raro acume
     Di femina, ch’ io son, farmi marito?
     Potrà mai l’arte sua con ogni cura
     Far forza al gran poter de la natura?

Potrà mai l’arte sua, s’una è donzella,
     Farla un fanciullo ? e te far maschio Iante?
     Deh stolta homai la mente à te rappella,
     E d’amor natural renditi amante.
     Scaccia da te l’ardor, che ti flagella,
     Non voler nel tuo male esser costante;
     Ma te medesma à te propria confessa,
     E se fai cieco altrui, non far te stessa.

Non dè saggio pensier fondar l’amore
     Dove convien, che ’l fin sia ingiusto, e nullo.
     E se donzella sei, fa vago il core
     Di qualche innamorato, e bel fanciullo.
     Che con santo Himeneo sfoga l’ardore,
     Con quel, che più gli sposi aman trastullo,
     E mentre anchor non hai l’amato bene,
     Nutrito almen l’amor sia da la spene.

I dolci baci, e i cari abbracciamenti,
     Che del maggior piacer contentan dui,
     Ti toglie il fatto in se, non de parenti
     L’asperità, non la custodia altrui.
     Non del marito accorto i lumi intenti
     Ti privan di quel ben, ch’ei vuol per lui.
     Ella non t’è contraria, anzi ti chiama,
     E lo stesso diletto attende, e brama.

Vuol meco il padre, il socero, e la sposa,
     E ’l mio voler d’ogni volere è donno,
     Ne la fiamma sfogar posso amorosa,
     Facciano huomini, e Dei quel, che far ponno.
     Ne à tanto mal son mai per haver posa,
     S’al fin non l’ ho dal sempiterno sonno.
     Che affligge il troppo ardor l’alma di sorte,
     Che non può torle il duol se non la morte.

Che giova à me, se la virtù celeste
     Comparte tante gratie al voler mio ?
     Che ? se ’l benegno socero Teleste
     Vuol co’l padre di me quel, che voglio io?
     Che? se le belle membra amate, e honeste
     Son pronte à compiacer il mio desio ?
     Se la natura mi rispinge, e sforza,
     C’ ha d’ogni altro favor più spirto, e forza.

Ecco vicino il desiabil giorno
     Che da novelli sposi è si bramato,
     N’aspetta il letto nuttiale adorno
     Per darne il ben, ch’amor può dar più grato.
     Pronta ella attende il coniugal soggiorno,
     Per far lo sposo suo di se beato.
     Starem nel letto, havrem le voglie pronte;
     E ne morrem di sete in mezzo al fonte.