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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/390

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ANNOTATIONI DEL DECIMO LIBRO.

La favola di Orfeo ci mostra quanta forza, e vigore habbia l’eloquenza, come quella che è figliuola di Apollo che non è altro che la sapienza; la lira datagli da Mercurio, è l’arte del favellare propriamente, laquale a simiglianza della lira va movendo gli affetti co’l suono hora acuto, hora grave, della voce e della pronuntia, di maniera che le selve, e i boschi si movono per il piacere che pigliano di udire la ben’ordinata, e pura favella dell’huomo giudicioso, non sono altro i boschi e le selve, che quegli huomini che sono cosi fissi, et ostinati nelle loro opinioni, che con grandissima difficoltà ne possono essere rimossi, i quali al fine si lasciano vincere dalla soavità della voce, e dalla forza delle parole, propriamente questi tali sono figurati per gli arbori che fanno le selve e i boschi, perche si come questi hanno le loro radici ferme, e profonde, cosi quelli fissano, e profondano nel centro dell’ostinationi le opinioni loro; ferma ancora Orfeo figurato per l’eloquente i fiumi, che non sono altro che li dishonesti, e lascivi huomini che quando non siano retirati dalla forza della lingua dalla loro infame vita, scorrono senza ritegno alcuno sino al mare, che è il pentimento, e l’amarezza; che suole venire subito dietro a i piaceri carnali. Rende Orfeo ancora mansuete e benigne le fiere, che sono gli huomini crudeli, & ingordi del sangue altrui, perche sono ridotti dal giuditioso favellatore a piu humana e piu lodevole vita; ama l’eloquente & è amato da Euridice, laqual figuraremo per la concupiscenza naturale, che passeggiando per i prati quali sono i suoi propri desideri; fugge da Aristeo che è il loro freno, come quello che desidera di tornarla a piu alti e piu lodevoli pensieri; e fuggendo more ferita dal serpente, che non è altro che quello inganno che stando nascosto nelle cose temporali, coglie tutti gli huomini che vivono in diverse maniere; morta la concupiscenza nelle sue proprie passioni è condotta all’inferno, Orfeo come suo verissimo amico che è il giuditioso parlatore, che con efficace persuasioni tenta di ritornarla di sopra alla virtù; e tornandovela; si rimira incautamente in dietro; e la perde di nuovo, perche non fa bisogno rimirar indietro, ma sempre inanzi; lo scendere di Orfeo all’inferno è l’huomo saggio, e prudente che non deve mai per qual si voglia concupiscenza partirse dalla contemplatione delle cose alte, per mirare le cose basse, e temporali e compiacerse in esse.

Preme l’Anguillara come si è veduto fin qui in rapresentare alcune cose pratiche come la caccia del Cervo, il maneggiar cavalli, il tessere, il cuscire, poi che gli riescono tutte felicemente, come gli è riuscito quivi ancora il rappresentare il suon della lira; in quella stanza: Quel legno appoggia alla mammella manca, e nella seguente.

Nella trasformatione di Ati in Pino, si può pigliar’ essempio quanto è mal convenevole il matrimonio quando vi è gran differenza di età, come era fra Cibele madre de gli dei, et Ati ancor giovinetto; e però non è maraviglia se ne segueno per cagione della gelosia di molti mali accidenti, come veggiamo tutto di avenire, e come avenne all’infelice Ati che si voltò all’Amore piu convenevole ad esso della Ninfa Sagarithide.

La trasformatione del giovane dolente per la morte del suo amantissimo Cervo, in Cipresso arbore che significa pianto e doglia, de i piu cari amici, e parenti, perche gli antichi erano accostumati a ornare de’ rami di quest’arbore le sepolture de i morti che vivendo gli erano charissimi ci da essempio che non dobbiamo giamai porre tanto amore nelle cose mortali, che poi quando le ci mancano, a viva forza tutto il rimanente della vita nostra sia un’essempio di amarissimo cordoglio a tutti quelli che ci veggono cosi, non senza loro grandissima maraviglia, come ancora non senza grandissimo danno nostro.

Giove ruba il bellissimo Ganimede, e il fa suo copieri per farci vedere quanto sia vago il cielo di privar’ il mondo come indegno di goderle, di quelle cose che gli sono piu grate, e che sono da essere tenute in maggior stima; il fa poi suo copieri havendolo convertito nel segno di Aquario il quale quando ha il Sole fermo in lui, dà da bere non solamente a Giove, ma a tutto il mondo con larghissime e abondantissime pioggie.

Giacinto trasformato nel fiore del suo nome da Apollo, ci fa vedere che la virtù del Sole che si va compartendo ne i semplici la mattina quando si rallegrano vedendolo comparire, come quello che con la benignità sua li va purgando dalla soverchia humidità della notte, deve esser colta in tempo della sua giovanezza, che è che la non sia ne troppo morbida per la soverchia hu-