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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/395

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Gittar ne l’Hebro il capo con la Lira,
     Che tanto esser solean d’accordo insieme.
     Hor mentre il mesto fiume al mar gli tira,
     Ogni corda pian pian mormora, e geme.
     La lingua anchor senz’anima rispira,
     Et accoppia co’l suon le voci estreme:
     Co’l flebil de la lingua, e de la corda
     Il pianger de le ripe anchor s’accorda.

Giungon nel mar piangendo il lor cordoglio
     Passato fra le ripe il vario corso,
     Poi fluttuando per l’ondoso orgoglio
     In Lesbo al lor vagar tirano il morso.
     Venir gli vide un serpe, e d’uno scoglio
     S’abbassò verso Orfeo co’l crudo morso,
     E già leccava il crudo, e horribil angue
     La chioma sparsa di ruggiada, e sangue.

À vendicar contra le donne Orfeo
     Non vuol’ il padre pio rivolger gli occhi,
     C’havendo offesi i sacri di Lieo,
     Lascia, ch’à lui questa vendetta tocchi.
     Ma non vuol già, che ’l serpe ingiusto, e reo
     Il volto del figliuol co’l morso imbocchi,
     Anzi una nova spoglia al drago impetra,
     E con l’aperto morso il fa di pietra.

L’ombra mesta d’Orfeo subito corse
     Al regno tenebroso, et infelice,
     E riconobbe ciò, che allhor vi scorse,
     Che co’l canto v’entrò mesto, e felice.
     Dopo molto cercar, lo sguardo porse
     À la moglie dolcissima Euridice,
     Dove abbracciolla, et hor sicuro seco
     Nel regno si diporta afflitto, e cieco.

Non però Tioneo lascia impunito
     L’error de le sacrileghe Baccanti,
     Ch’oltre che profanaro il sacro rito,
     E sangue fer ne’ suoi misterij santi,
     Havean mandato al regno di Cocito,
     Non però un’ huom de gli ordinarij erranti,
     Ma quell’huom si divin, che mentre visse,
     In lode de gli Dei tant’hinni scrisse.

Le donne inique Tracie, c’hebber parte
     Nel crudele homicidio ingiusto, e strano,
     Raguna in un gran pian tutte in disparte
     Da l’altre pie, che non vi tenner mano.
     I diti poi de’ piè tutti comparte
     In diverse radici apprese al piano;
     Ogni dito del piede entra sotterra,
     E radicato in tutto al suol s’afferra.

Qual, se talhor l’augello al laccio è preso,
     Quanto più scuote per fuggire i vanni,
     Tanto più il lin lo stringe, e più conteso
     Gliè di poter rubarsi à tesi inganni:
     Cosi il piè de la donna al suolo appreso,
     Quanto più vuol fuggir gli ascosi danni,
     E più si scuote, e più sbrigarsi intende,
     Tanto più la radice al suol s’apprende.

E mentre ogni Baccante cerca, e mira,
     Dove sia l’unghia ascosa, il dito, e ’l piede,
     Ch’ambi gli stinchi in un congiunge, e gira,
     À poco à poco un’ altra scorza vede.
     Scorgendo poi, ch’ogni hor più alto aspira
     L’arbore, ad ambe mani il petto fiede,
     E trova, mentre in van sfoga lo sdegno,
     Che fere in vece de la carne il legno.

S’alzan le braccia in rami, il crine in fronde,
     Fin ch’ogni donna un’ arbor fassi intero.
     Altra in un faggio, altra in un pin s’asconde,
     Altra in un’ampia quercia, altra in un pero;
     Altre sterili piante, altre feconde,
     Come più piacque al lor Signore altero.
     Cangiate fanno à la silvestre belva
     Di nove piante in Tracia un’ altra selva.

Fatta Bacco d’Orfeo l’alta vendetta
     Sol contra le consorti, che peccaro,
     Tirar da tigri fe la sua carretta
     Verso il regno di Frigia, e seco andaro
     Non sol le donne, e la baccante setta,
     Ma co’ Fauni l’alunno amato, e caro,
     Ch’ebro su l’asinello era il trastullo,
     Per lo vario camin, d’ogni fanciullo.