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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/397

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Se brama haver del pan per contentarne,
     Secondo che solea, l’avida bocca,
     Subito che l’ha in man, vede oro farne;
     Dapoi con la forcina ogni esca tocca,
     Ma i membri de le lepri, e de le starne
     Si trasforman in or, come gl’imbocca.
     Tutti i suoi cibi fuor d’ogni costume
     Acquistano da l’or gravezza, e lume.

Poi c’ ha il coppier nel lucido cristallo
     Posto l’auttor del don, che fa tant’oro,
     Vi mesce il fresco, e puro fonte, e dallo
     Al Re per dare al sangue il suo ristoro:
     Et ecco assembra al più ricco metallo
     Il vino, e l’acqua, e ’l cristallin lavoro;
     Vien d’oro il vetro, e ’l vin cangia natura,
     E pria vien liquido or, dapoi s’indura.

Il Re, cui cresce l’oro, e manca il vitto,
     E ricco insieme, e povero si vede,
     Del novo male attonito, et afflitto
     Odia già il don, che ’l buon Lieo gli diede;
     E confessando à Bacco il suo delitto,
     Perdono à lui con questa voce chiede.
     Toglimi ò Dio di Thebe à quello inganno,
     Che par, ch’util mi faccia, e mi fa danno.

Non può il palato mio render contento
     La forza del tant’or, che dà il tuo dono.
     Già fame, e sete insopportabil sento,
     E per lo troppo haver mendico sono.
     Peccai per avaritia, e me ne pento,
     E con ogni umiltà chieggo perdono;
     Fa, che quel dono in me per sempre muoia,
     Che quanto più mi giova, più m’annoia.

Dolce Lieo non men del suo liquore,
     Poi che l’error, che fece, al Re dispiace,
     Volge ver lui benigno il suo favore,
     E la seconda gratia gli compiace.
     Suona una voce in aria, ove il Signore
     Di Frigia in ginocchion chiede al ciel pace.
     Contra Pattolo ascendi verso il monte,
     Fin che trovi l’origine del fonte.

Quivi, dov’esce il fonte à l’aria viva,
     Ascondi il corpo ignudo in mezzo à l’acque,
     E laverai quella virtù nociva,
     Che già d’havere in don da me ti piacque.
     Com’ei vi giunge, pose in su la riva
     Le spoglie, e nudo entrò, come già nacque,
     Nel fiume; e ’l pretioso suo difetto
     Dipinse l’onde d’or, le ripe, e ’l letto.

Et hor dal seme de l’ antica vena
     Tien la stessa virtù la terra, e ’l fiume.
     Risplende d’or la pretiosa arena,
     Stà l’oro in ogni gleba, il peso, e ’l lume.
     Dapoi che potè il Re gustar la cena,
     Ringratiato il glorioso Nume,
     Si diè, de l’or spregiando il ricco lampo,
     Ad habitar la selva, il monte, e ’l campo.

Non però d’esser Re di Frigia lassa,
     Se ben la selva, il monte, e ’l pian l’alletta.
     Con lo Dio de’ pastori il tempo passa,
     Che ’l suon de le sue canne gli diletta.
     La mente ha come pria stolida, e bassa,
     E per nocergli anchora il tempo aspetta.
     Lo stupido suo spirto, e mal composto
     Vuol fargli un’ altro danno, e sarà tosto.

Dove il monte Timolo al cielo ascende,
     Cantando Pan per suo diporto un giorno,
     Con la sampogna sua stupida rende
     Ogni Ninfa, e Pastor, ch’egli ha d’intorno.
     Et osa dir (tal gloria il cor gli accende)
     Ch’ad ogni illustre canto il suo fa scorno;
     E sfidare osa anchora innanzi al santo
     Dio di quel Monte il dotto Apollo al canto.

Timolo arbitro eletto ai novi versi
     Per poter meglio udir l’orecchie sgombra
     Da le ghirlande d’arbori diversi,
     E fa, che sol la quercia il crin gl’ingombra.
     Dove con leggiadria posson vedersi
     Pender le ghiande, e far à le tempie ombra.
     Con maestade in questa forma assiso,
     Ch’egli è pronto ad udir, dà loro aviso.