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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/399

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Quanto più può, l’orecchie mostruose
     Dentro à se stesso il servo asconde, e serra.
     Ma come più non può tenerle ascose,
     Pensa di publicarle almen sotterra.
     Una fossa in un campo à far si pose,
     E cavata che bene hebbe la terra,
     Chinossi, e con parole accorte, e mute
     Scoprì l’orecchie à lei, c’havea vedute.

Mormora in quella fossa, più che puote,
     L’orecchie, che ’l suo Re nascoste serba;
     E con veraci, e mostruose note
     L’interna cura alquanto disacerba.
     Copre poi co’l terren le fosse vote,
     E in pochi dì comincia à spuntar l’herba.
     S’ingravidò la terra di quei versi,
     E fronde parturì, che calme fersi.

Cresce la canna à poco à poco, e tira
     Dal padre la maledica natura.
     Dentro è piena di vento, e quando spira,
     Manda del padre fuor la voce pura,
     E dice. Con la mitra il capo aggira
     Colui, che in Frigia ha la suprema cura,
     Perche l’orecchie ha d’Asino, e ricopre
     Con l’oro il premio de le sue mal’ opre.

La scorta de la greggia, e de l’armento,
     Ch’ode il parlar, che da la canna suona,
     Et ha (mentre ad udir si ferma intento)
     Stupor di quel, che ’l calamo ragiona,
     Ride, e fa la sampogna, e dalle il vento,
     Et ode dir, che sotto à la corona,
     Che d’oro al Re di Frigia orna la testa,
     Si stà nascosta un’ asinina cresta.

L’uno il palesa à l’altro, e fan, che vede,
     E ch’ode ogn’un di Frigia la sampogna,
     Che dice al Re, che ’l lor regno possiede,
     De l’orecchia asinina onta, e vergogna.
     Ó misero quel principe, che crede
     Di fuggir del suo vitio la rampogna.
     Che come un sallo, ad una fossa il dice,
     E dona al suo parlar prole, e radice.

Lascia la nota poi l’oscura tomba,
     Et esce fuore un calamo, che canta.
     Onde i Poeti poi fansi una tromba,
     Che ’l vitio fa saper, che in lui s’ammanta.
     Tal, che ’l publico suon, ch’alto rimbomba,
     Di sapere il suo mal si gloria, e vanta,
     E son cantati i suoi vitij secreti
     Da le publiche trombe de’ poeti.

Come s’è vendicato, lascia il monte
     Timolo il padre amabile d’Orfeo,
     E verso il fertil pian drizza la fronte
     Propinquo al promontorio di Sigeo;
     Là dove il Re Troian Laomedonte
     Volea fondar nel bel paese Ideo
     À la superba Troia alte le mura,
     Per farla più tremenda, e più sicura.

Quando ei conobbe la spesa infinita,
     Ch’era per dare à quella impresa effetto,
     E che ’l cupido Re chiedea l’aita
     D’alcun famoso, e nobile architetto;
     Lo Dio de l’onde à questa impresa invita:
     Al fin conchiudon di cangiar l’aspetto,
     E darsi in forma d’huomo à quel lavoro
     Per ottener dal Re si gran thesoro.

Fatto il pensiero tiransi in disparte,
     E quivi di lor man fanno un modello,
     Che ’l Dorico, l’Ionio, e tutta l’arte
     Mai non vide il più forte, ne ’l più bello.
     V’era il sito di Troia à parte à parte,
     E ’l muro, e ’l torrrion fatto à pennello.
     La scarpa, il fosso, la cortina, e ’l fianco
     Esser non convenia ne più, ne manco.

S’appresentaro al Re co’l bel disegno,
     E s’offerser voler prender l’ impresa,
     E di far l’artificio anchor più degno
     Ne l’opra, che sarà lunga, e distesa.
     Piace al Re l’arte, e dà la fe per pegno,
     Poi che s’è convenuto de la spesa,
     Che come l’edificio havran fornito,
     Darà lor d’oro un numero infinito.