La madre, che vedea l’ingiusto dente
Smembrare à dolci figli il carnal panno,
Volava intorno à l’avido serpente,
Per ripararvi, intorno anzi al suo danno.
Il serpe in lei tenea le luci intente,
Ne potendo volare usò l’inganno,
Aventò à tempo il capo ingiusto, e fello,
E satiò il corpo suo del nono augello.
Quivi era Menelao, quel Re Spartano,
Ch’intendea racquistar la sua consorte;
Quivi Agamennone era il suo germano,
Che capo eletto havean de la choorte;
Achille, Ulisse, et ogni capitano,
Che venne à favorir la Greca corte.
E ciaschedun di lor si stupefece
Di quel, che in lor presenza il serpe fece.
Ma quel, che fa le cerimonie sante
Nel campo Greco haruspice, e indovino,
(Parlo del venerabile Calcante)
Dichiarò loro il fin di quel destino.
I nove augei, che ’l serpe à voi davante
Condusse al fin del lor mortal camino,
Mostran, che, come il tempo havrà nov’anni
Mangiati, Troia havrà gli ultimi danni.
Si che rendete gratie al cielo eterno,
Fuor rallegrate il volto, e dentro il core,
Se ben convien, che passi il nono verno,
Pria che si possa haver l’ultimo honore.
Mentre il Profeta parla, il manto esterno
Veggon del serpe altier cangiar colore.
Giove per più sicuro augurio darne,
Fece di marmo à lui venir la carne.
Ma se ben dice il novo alto portento,
Che vinceran passato il nono Autunno,
Non però cessa la tempesta, e ’l vento,
Non si placa però Nereo, e Portunno.
Credon molti, che san, che ’l fondamento
Hebbe l’altera Troia da Nettunno,
Che tenga l’onda irata altera, e dura,
Per la pietà, ch’egli ha de le sue mura.
Ma ’l buon Calcante quel, che sà, non tace,
De la cagion de l’horride tempeste.
Se voi volete haver da l’onde pace,
(Dice à le Greche coronate teste)
La Dea, cui d’habitar la selva piace,
Convien, che pria da voi placata reste;
Delia placar si dè co ’l colui sangue,
Che fe il cervo di lei restare essangue.
Agamennone havea pochi anni avante
Un cervo di Diana à caso morto.
La Dea con ogni vento più arrogante
Non gli lasciò giamai partir del porto.
Il Re, che per la voce di Calcante
Quel, che vorria l’Oracol, ha ben scorto,
Crede per ben comune à chi ’l consiglia,
Ch’è ben sacrificar la propria figlia.
Potè più il Re, che la pietate, e ’l padre,
E di sacrificar la figlia elesse.
Fra quanti havea ne le Pelasghe squadre
Pensò, ch’Ulisse sol dispor potesse
Clitennestra di lei l’accorta madre
Sotto specie di ben, ch’à lui la desse.
L’accorto cavalier giunge à Micene,
E con questa bugia da lei l’ottiene.
Con gran piacer de la Cecropia corte
Quel Re, che voi sposò molti anni pria,
Prudente Donna, ha già fatta consorte
La vostra bella figlia Ifigenia
D’un cavaliero, il più bello, il più forte,
Il più prudente, c’hoggi al mondo sia.
Per eterna di voi letitia, e posa
Del figlio di Peleo l’ha fatta sposa.
Il grande Achille è quel, c’haverla intende.
E, perche l’indugiar pentir no ’l faccia,
Vuol, ch’io la meni al campo, ov’ei l’attende,
Si che la sposi, e poi seco si giaccia.
Lettere, e contrasegni in questo prende,
E fede acquista à la mentita faccia.
S’allegra Clitennestra, e gli dà fede,
E l’infelice figlia al guerrier cede.