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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/431

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Con le ginocchia il corpo, e con la palma,
     Con più forza, che può, stringe la gola,
     Tanto, che toglie quella strada à l’alma,
     Che suol dar fuor lo spirto, e la parola.
     Al fin con questo modo à lui la palma
     De la vittoria il forte Achille invola.
     Cerca poi trargli il vincitor Acheo
     L’arme, perpetua à lui gloria, e trofeo.

Ma tosto, ch’apre l’arme, intende il lume
     Quivi entro, volar fuor vede un’ augello.
     Spiega lontan da lui le bianche piume,
     Grande, ben fatto, à maraviglia bello:
     Il Re, che tributario have ogni fiume,
     Volle, ch’entrasse in quel corpo novello.
     Hor le cagnate sue terrene some
     Non ritengon di prima altro, che ’l nome.

Rimontò su’l destriero il buon Pelide
     Tosto, che fu dal primo impaccio tolto,
     Poi volse al campo suo le luci, e vide,
     Che i Frigij l’havean rotto, e in fuga volto.
     Entra nel campo adverso, e fere, e uccide,
     E fa di novo à suoi mostrare il volto:
     Chiamar fa intanto il maggior capitano
     Co’l suono al gran stendardo ogni Troiano.

Vedendo apertamente il forte Hettorre,
     Che più non potea lor vetare il lito,
     Perche lontan n’era venuto à porre
     In terra il piede un numero infinito,
     Brama le squadre sue tutte raccorre,
     Mentre il può far senz’essere impedito;
     E fatto havendo ritirare Aiace,
     Chiama i suoi per quel dì tutti à la pace.

Enea si ritirò, c’havea costretto
     (Fatto havendo di sangue il mar vermiglio)
     Diomede à ritirarsi al suo dispetto
     Dentro del mare, appresso al suo naviglio;
     Ma fe l’armata Achea si crudo effetto
     Con gli archi contra i Frigij, e contra il figlio
     Di Venere, ch’al fin consiglio prese,
     Di ritrarsi lontan da tante offese.

S’unisce con Hettor, dal quale intende,
     Ch’è ben tornare homai dentro à le mura,
     Ch’ogni Troiano è stanco; e se non prende
     Riposo, offende troppo la natura.
     E poi da tanti lati il Greco scende,
     Che potrà più, che la Troiana cura.
     E non de fare à l’ inimico oltraggio
     Un, che s’offender vuol, non ha vantaggio.

Achille, che qual saggio capitano
     Ha sol per fin, che ’l Greco acquisti il lido,
     Lascia tornar l’essercito Troiano
     Dentro di Troia al più sicuro nido.
     Che sà, che l’arme, e la nemica mano
     D’Hettorre, e del fratello di Cupido
     Dapoi, che si saran serrati in Troia,
     À chi scender vorran, non daran noia.

Ogni Troian ne la città si serra,
     I Greci dismontar, poi s’accamparo.
     E fu cagion la prima occorsa guerra,
     Che poi per molti dì si riposaro.
     Hor mentre il Frigio altier guarda la terra,
     E ’l cauto Greco il suo guarda riparo,
     Giunge il festivo dì, nel quale osserva
     Achille il sacrificio di Minerva.

Poi ch’al candido bue fiaccò le corna
     Il ministro empio, e pio con la bipenne,
     E ver la patria pia di stelle adorna
     Fe il foco al suo splendor batter le penne;
     E l’odor, che la lieta Arabia adorna,
     Con quel de l’holocausto al ciel si tenne,
     N’andaro, essendo il giorno già finito,
     I Greci Duci al pubblico convito.

Poi che di Bacco il don pregiato, e santo
     La sete, e ogni altra cura à Greci tolse,
     Concorde de la cetra al dolce canto
     Il citaredo il suo verso non sciolse,
     Ma ragionar con gravità di quanto
     Avenne allhor, che dismontar si volse,
     E la virtù del dir di quanto occorse,
     Fu il diletto maggior, ch’à lor si porse.