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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/450

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Ben mi sovien ch’al cominciar la guerra
     Ei per la gran viltà stolto si finse,
     E di sal seminò l’arata terra,
     Ma Palamede al fin d’astutia il vinse.
     E cosi contra la Troiana terra
     Con gli altri Achei malvolontier si spinse.
     Hor faccian prima lui quell’arme adorno,
     Ch’ultimo, quando è d’huopo, ha l’arme intorno.

Et io, che primo ogn’hor corro al romore,
     À farmi obbietto al martial flagello,
     Fia ben, che con mio biasmo, e dishonore
     Senza l’arme mi stia del mio fratello.
     Deh fosse stato vero il suo furore,
     Si che fosse restato al patrio hostello:
     Ó fossi stato almen da noi creduto,
     Si ch’ei non fosse in Frigia mai venuto.

Che l’ infelice di Peante figlio
     Ferito in Lenno non saria restato,
     Sol, senza cura, e con mortal periglio,
     Come parve ad Ulisse empio, et ingrato.
     Hor have Filottete in Lenno essiglio
     Da chi dovea ver lui mostrarsi grato.
     Che d’Hercole ei portò gli strali, e l’arco,
     Che denno à Troia far l’ultimo incarco.

Ben vi sovien, che ’l fato à noi predisse,
     Che Troia non havria l’ultime offese,
     Se contra lei quell’arco non ferisse,
     C’Hercol fe vincitor di tante imprese.
     Hor Filottete al ragionar d’ Ulisse,
     Che l’arco Herculeo havea, pronto si rese.
     Poi fe, che si lasciò ferito, e solo
     Non senza universal disnore, e duolo.

Il misero hor ne’ boschi, e ne lo speco
     Mena la vita sua dolente, e trista,
     E move i sassi à pieta, e duolsi seco
     D’haver la fronte mai d’Ulisse vista.
     Ch’ove aiutar vorrebbe al campo Greco,
     L’esca al digiuno suo cacciando acquista.
     Ch’ove aventar lo stral vorria ver Troia,
     Fà, che ’l bruto, e l’augello in caccia muoia.

Cosi deserto entro à un paese esterno
     Prega al crudele Ulisse ogni gran danno.
     Prega, ch’estinguer voglia il Re superno
     L’autor de la calunnia, e de l’inganno.
     Pur non ha dato anchor l’alma à l’ inferno,
     Si mantien vivo anchor nel carnal panno.
     Che se in campo seguia l’Itaco Duce,
     Fea perdere ancho à lui l’aura, e la luce.

Si come fece al miser Palamede,
     Ben per lui, se restava in quel deserto.
     Felice lui, s’havea piagato il piede,
     Che godrebbe hoggi anch’egli il giorno aperto.
     Il falso Ulisse à lui calunnia diede,
     (Per havere il suo inganno à voi scoperto)
     Ch’avisava il re Priamo, e vi fea torto,
     E ’l fe da traditor rimaner morto.

Creder vi fe, che l’innocente havesse
     Havuto da nemici un gran thesoro,
     À fin che ’l Re Troian da lui sapesse
     Tutto l’andar del Greco concistoro.
     E perche facilmente si credesse,
     Fe ne le tende sue scoprir molt’oro.
     Ve ’l fece ascosamente por sotterra,
     Mentre fea l’innocente à Troia guerra.

Sapete pur, che voi vi ristringeste,
     Quando Ulisse affermò questo per vero.
     Ne con tutto il suo dir creder poteste
     In si gentil guerrier si rio pensiero.
     Ma persuasi al fin cercar faceste
     Nel padiglion del miser cavaliero.
     Là dove si trovò quell’or riposto,
     Ch’Ulisse poco pria v’havea nascosto.

E cosi un’ huom leal, saggio, e innocente
     Passò con questo biasmo à l’altra vita
     Per la calunnia iniqua, e fraudolente,
     Che quel, c’hor chiede l’arme, havea mentita.
     Ch’anchor saria de la corporea gente,
     Anchor darebbe al nostro campo aita.
     E quando pur perduto havesse il giorno,
     Perduto non l’havria con tanto scorno.