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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/455

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Poi che il dolor d’un sol, che la consorte
     Havea perduta, ogni cor Greco prese,
     E contra il Re de la Troiana corte
     Ad armar mille navi i Greci accese,
     Sapete ben, che l’Attica cohorte
     Nel gran porto d’Aulide un tempo attese.
     Però che ’l vento, à noi crudo aversario
     Tutto quel tempo ò fu nullo, ò contrario.

Risponde il fato. Se la vostra mente
     È di veder la region Troiana,
     La figlia d’Agamennone innocente
     À l’altar de la Dea si dia Silvana.
     L’imperator Miceno non consente
     Di dar la figlia al foco di Diana;
     S’ adira contra il fato, e contra il cielo,
     Ne ’l suo sangue à la Dea vuol dar di Delo.

Per provedere al comun danno io fui,
     Ch’al gran padre di lei fui sempre appresso,
     E fei, che per gradire à tutti vui,
     Del proprio sangue suo privò se stesso.
     Difficil causa ottenni allhor da lui:
     Fede di questo à me faccia solo esso:
     Che se ben come Re darla dovea,
     Il padre era nel Re, cui più premea.

Gli mostro il grande honor, che gli havea fatto
     Tutta la Grecia à farlo imperadore:
     De la cognata sua l’ingiusto ratto,
     Perpetuo del suo sangue onta, e disnore;
     E come egli è obligato al suo riscatto:
     E poi che tante navi have in favore,
     L’honor compensi, e vendichi l’oltraggio
     Facendo al ciel del proprio sangue homaggio.

Poi fui mandato à ritrovar la madre,
     Là dove i preghi usar non mi convenne
     Che non havria ceduto, come il padre,
     Basta, che l’arte mia da lei l’ottenne,
     E fu cagion, che le Spartane squadre
     Contra il muro Troian drizzar l’antenne.
     Che s’Aiace vi gia per quel, c’ho scorto,
     Staremmo tutt’ anchor nel Greco porto.

Ambasciador con dignità comparsi
     Innanzi al Re Troian dentro al suo muro,
     C’havea per tutto i suoi soldati sparsi,
     Per terror mio, per stare ei più sicuro.
     Dove co’l modo à pien, che debbe usarsi,
     Da me le Greche voglie esposte furo.
     Parlai con quello ardir, con quel rispetto,
     Che chiedea la mia causa, e ’l suo cospetto.

Esclamai contra Paride, e di tanto
     Castigo il fei parer degno, e di pena:
     Poi fatto verso il Re dolce altrettanto
     Ridomandai con tai ragioni Helena,
     Che ’l Re con Antenor, che gli era à canto
     Indussi à darla al regno di Micena.
     Ma il pastor Frigio, e chi con lui la tolse,
     S’oppose al padre, e comportar no’l volse.

E tu sai Menelao, ch’eri allhor meco,
     Che Pari, e tutti quei, c’havea d’ intorno,
     Mentre del furto suo ragionai seco,
     Alzar quasi la man per farne scorno.
     Hor tu puoi far qui fede al campo Greco,
     Se corremmo periglio ambi quel giorno.
     E ’l suo valor co’l mio costui misura,
     Che non vide mai Troia entro à le mura.

Lungo sarà, s’ io vò’ tutte l’imprese
     Contar, ch’io feci in cosi lunga guerra.
     Si sà, che fatte le prime contese,
     Quando ne’ primi dì smontammo in terra
     Si mise il Re Troian su le difese,
     Ne fece uscire i suoi mai de la terra,
     Se non talhor di notte ascosamente,
     Se introdur volle ò vittovaglia, ò gente.

Hor mentre stette l’uno, e l’altro regno
     Senza venire al Marte aperto, e crudo;
     Tu, che invece de l’alte, e de l’ ingegno
     Sai sol la spada usar, l’hasta, e lo scudo,
     Qual’ atto festi generoso, e degno
     Stando de l’arme il più del tempo ignudo?
     Che se dimandi à me di quel, ch’ io feci
     Giovai per mille, e mille mezzi à Greci.