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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/457

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Il nostro Re prudente allhor concesse
     L’elettion di un solo à Diomede,
     Con questo, ch’ alcun conto ei non tenesse
     Di chi per oro, ò nobiltà precede.
     Ma ch’à giudicio suo quello eleggesse,
     Nel quale havea maggior speranza, e fede.
     Et ei, ch’è di tal senno, e tal valore,
     Fra mille, e mille à me fe questo honore.

Se Diomede è buon, saggio, e verace,
     Del valor nostro ei la sentenza disse
     Allhor, che lasciò star da parte Aiace,
     E volle per compagno havere Ulisse.
     Hor chi sceglie mai te di quei, che face
     Andare il Re ne le più dubbie risse?
     D’esser compagno io pur tal volta impetro,
     Ma donde vien, ch’ogn’ hor tu resti indietro?

Senza stimar di mezza notte andai
     De nemici, ò del tempo alcun periglio.
     Dove il Frigio Dolon per via trovai,
     Che ’l Greco anch’ei spiar volea consiglio.
     Conosciuto ch’io l’hebbi , in modo oprai,
     Che diede à l’alma sua dal corpo essiglio.
     Ma pria, che ’l fessi star per sempre cheto,
     Gli fei scoprir di Troia ogni secreto.

Quando, per riconoscer, prese l’arme
     Dolon le nostre fosse, e in campo venne,
     D’Achille (com’ei poi venne à contarme)
     I cavalli co’l carro in premio ottenne.
     Dunque vorrete voi quel don negarme,
     Che questa mano allhor salvo mantenne ?
     Dunque havrà l’arme Aiace, e non colui,
     Che salvò forse l’arme, il carro, e lui ?

Riconosciuto havea già tutto, e inteso,
     Potea de l’honor mio tornar contento;
     Ma tutto al ben comun disposto, e inteso
     Maggior per voi mostrar volli ardimento.
     Ne le superbe tende entrai di Rheso,
     E tolsi à lui co’ suoi l’aura, e l’accento;
     E poi che i suoi cavalli, e ’l carro io tolsi ,
     Co’l debito trionfo à noi rivolsi.

Ma che dirò del Licio Sarpedone?
     Io pur la forte sua già ruppi insegna.
     D’Alastor, di Pritan, di Ceranone
     La parte al carnal vel tolsi più degna.
     Io mandai Cromio, Alcandro, Halio, e Neomone
     Dove l’infernal Dio comanda, e regna.
     Tutti gli uccisi suoi guerrier più forti,
     Voi sapete, s’è vero, e quanto importi.

Un’altra volta il buon Chersidamante,
     Co’l feroce Toone à morte diedi.
     E di quei, benche Charope hebbe avante,
     Fei da quel giorno in quà goder gli heredi.
     Poi verso d’Eunomon volsi le piante,
     E senz’alma me ’l fei cadere à piedi.
     Fei di molt’altri anchor le forze dome,
     Ch’eran guerrier privati, e senza nome.

Mandai molt’alme al tenebroso regno,
     Come sapete voi sì ben, com’io:
     Ma mi costò, che l’inimico sdegno
     Volle il sangue veder del petto mio.
     E quando no ’l credeste, eccovi il segno.
     (Et in questo parlar la veste aprio)
     Di qui (dapoi sogiunse) il sangue aspergo,
     Mostro à nemici il petto, e non il tergo.

Ma non vi potrà già nel decim’anno
     Aiace dimostrar, che in questa guerra,
     Havesse mai nel suo corpo alcun danno,
     Non mai del sangue suo sparse la terra.
     Facciasi innanzi anch’egli, et apra il panno,
     S’alcuna cicatrice asconde, e serra.
     E s’alcun vorrà dir, ch’ei sia fatato,
     Difendan me quell’arme, Aiace il fato.

Confesso ben, che contra il forte Hettorre
     S’oppose per salvar le nostre navi.
     Ma se vuol tutta à se tal gloria torre,
     Mi par, che l’honor vostro in tutto aggravi.
     Quant’altri anchor se stessi andaro à opporre
     Al forte Hettor con l’arrestati travi ?
     Patroclo fe quel dì con l’arme altrui
     Contra il campo Troian non men di lui.