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Ó solo essempio, ò non credibil mostro,
Hor quando mai tal crudeltà si vide ?
Incrudelisce contra al sangue nostro
Insino à l’arsa polve di Pelide.
Apre la tomba istessa il tetro chiostro,
E manda fuor, chi n’odia, e chi n’uccide.
Dunque mi fece il ciel feconda tanto
Per trionfo d’Achille, e per mio pianto ?
Il superbo Ilion distrutto, et arso
De le ruine sue copre le strade.
Giace l’alta città. Quel sangue han sparso,
Che di spargere ardean l’Argive spade.
Dopo tanti flagelli al cielo è parso
Di finir per ogn’un l’ultima clade.
Sol nel suo corso il mio fato si vede,
Per me l’arsa mia patria è anchora in piede.
Come s’io fossi in Troia invitta, e forte,
Cerca la spada Achea di farmi oltraggio.
Oime, di quale invitta, e altera sorte
In qual miseria, in qual bassezza io caggio ?
Io d’uno Imperador fui già consorte,
Il qual trahea da tutta l’Asia homaggio;
Ne haver potea dal ciel maggior favore
Ne generi, ne’ figli, e ne le nuore:
Et hor distrutta la mia regia antica,
De sepolcri di quei, c’ho ne l’ inferno,
Son tratta vecchia, misera, e mendica
Per lo paese incognito, et esterno;
Dove me’n vò con pena, e con fatica
Senza soccorso alcun, senza governo
Per esser serva, e don prima, ch’ io mora
De l’Itaco Laerte, e de la nora.
Serva de la consorte andrò d’Ulisse:
E mentre ch’ io farò stame del lino,
Questa è colei, che si felice visse,
À le madri dirà del suo domino
Pria, che l’alma città Frigia venisse
À l’ultimo rigor del suo destino.
Questa è d’Hettor la già beata madre,
Moglie del Re de l’Asiane squadre.
E tu, che davi refrigerio alquanto
À gli aspri miei tormenti, et infelici,
De l’anima hai privato il carnal manto
Per l’ombre micidiali, e peccatrici.
Oime, che ’l rito funerale, e santo
Ho parturito à miei crudi nemici.
Oime, ch’io son di ferro, e fe può farne,
Che non può soffrir tanto un cor di carne.
Ond’è fato crudel, che vai si tardo
À darmi con la morte eterna pace ?
Ond’è, che ’l corpo mio fai si gagliardo?
Che la vecchiezza mia fai si vivace?
À novo colpo ò di spada, ò di dardo
Forse la luce mia serbar ti piace?
Ben può il marito mio dirsi beato,
Che innanzi à tanto mal finì il suo fato.
Hor chi direbbe mai, che ’l mio consorte
Dopo haver visto il suo regno perduto,
Felice dir la sua potesse morte?
E pur passò felicemente à Pluto,
Dapoi che ’l fin de la tua cruda sorte,
Figlia infelice mia, non ha veduto.
Atto non vide in te figlia si indegno,
E in un punto perdè la vita, e ’l regno.
Forse, c’havrai come fanciulla regia
Co’l rito funeral gli estremi honori ?
E sarai posta in quella tomba egregia,
Ch’asconde tanti illustri tuoi maggiori?
Misera, il sangue tuo qui non si pregia,
Sian dunque le tue essequie i miei dolori.
L’esterna arena havrai per monimento,
La pompa funeral fia il mio lamento.
Veduto ho il mio marito, e tutti i figli
À Stige andar per la medesma strada,
Del sangue proprio lor tutti vermigli,
Percossi da la lancia, ò da la spada.
Chi fia, che più m’aiuti, ò mi consigli,
Per far, che in questo punto anch’io non cada?
Si che un mio sol figliuol, che vive anchora,
Possa alquanto veder prima, ch’ io mora?