Vai al contenuto

Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/47

Da Wikisource.

Per fuggire i cavalli e danno, e scorno,
     Voltan la groppa al Drago, e via se’n vanno
     Tanto affrettando verso il mezzo giorno,
     Che ’l Tropico del Cancro passat’ hanno.
     Già non pensan gir là dal Capricorno,
     Come nel noto lor viaggio stanno,
     Ma per non gir, come havean fatto à caso,
     Si drizzan per la pesta in ver l’occaso.

Hor come l’inesperto auriga, e stolto
     Mira da l’alto ciel la bassa terra,
     Trema, e diventa pallido nel volto,
     E poco men, che non ruina à terra.
     Già quel tanto splendor gli ha ’l veder tolto,
     Che gli occhi contra il suo voler gli serra.
     Vorria già haver creduto à la sua madre,
     E non haver mai conosciuto il padre.

Gli Astrologi sagaci, et altri assai,
     Se ben non sono in tal scienza instrutti,
     Stupiscon, che i solari ardenti rai
     Veggon da Polo à Polo esser condutti,
     E più, che ardon si torridi, c’homai
     Gli han quasi tutti quanti arsi, e distrutti,
     Ma ben novo stupor allhor gl’ ingombra,
     Ch’ all’austro il corpo lor veggon far ombra.

Che farà l’ infelice, ha già lasciato
     Un gran spatio di ciel dietro à le spalle,
     E già si vede à quel giogo arrivato,
     Dove comincia à declinare il calle.
     Ó voglia andar da questo, ò da quel lato,
     Forza è calar ne la profonda valle:
     Tien il fren, ma no’l regge, e non sa come
     Gl’infiammati destrier chiamar per nome.

Mentre scorrendo il ciel piange, e sospira
     Il timido garzon, ne sa, che farsi,
     Molti horrendi animali incontra, e mira,
     Che son per tutto ’l ciel divisi, e sparsi.
     Fra’l Sagittario, e la Vergine il tira
     Il carro intanto, et ecco appresentarsi
     L’horrendo Scorpion, che sì s’estende,
     Che ’l luogo di due segni ingombra, e prende.

Quando il pentito giovane s’accorge
     De l’animal, che per ferir s’è mosso,
     E ruggiadoso, et humido lo scorge
     Di mortifer venen per tutto ’l dosso,
     Che reflette la coda, e innanzi sporge
     L’acute branche, e vuol venirgli addosso,
     Per fuggir lascia il freno, e, più che puote
     Con la sferza i destrier batte, e percuote.

Come i cavalli abbandonato in tutto
     Sentono il freno, e battersi su’l dorso,
     Schivan quell’animal nocivo, e brutto,
     E ’l suo crudele, e venenoso morso.
     Scorrono hor alto, hor basso, il ciel per tutto.
     Che più no’l vieta l’ inimico morso,
     Il misero s’appiglia ove hà più fede,
     E più fermo, che può, su ’l carro siede.

Come il nocchier, che l’arbore, e ’l timone
     Perde, risolve il suo dubbioso petto,
     Contra il voler del mar più non s’oppone,
     Che non può più salvarsi al suo dispetto:
     Ma si da tutto à sua discretione,
     Indi si volge à Dio con caldo affetto,
     Tal’ ei, c’ ha il freno, e ’l suo camin perduto
     S’arrende, e sol da Dio ricerca aiuto.

Tanto verso la terra il carro scende,
     Che si trova da lei poco lontano.
     Maraviglia, e stupor la Luna prende
     Vedersi sotto i destrier del germano.
     Fuman le nubi, e la terra si fende,
     Arde già il monte, e tutto aperto è ’l piano.
     I pascoli dal Sol percossi, e secchi,
     Diventan tuttavia canuti, e vecchi.

Già le mature, e secche biade danno
     Occasion, che vi si appicchi il foco,
     E porgono materia al lor gran danno,
     Ch’ad arder son le prime in ogni loco.
     Gli arbori senza honor ne i monti stanno,
     Già si veggon fumare à poco à poco.
     Arde l’antica quercia, e la castagna,
     E sembra un Mongibello ogni montagna.