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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/482

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preghi della madre Giove mentre si faceva cenere del corpo suo, si trasformò insieme con le faville del fuoco in uccelli chiamati Mennoni dal suo nome; uccelli che in Etiopia, per quello che si dice, volano per il piu sopra le sepolture de’ morti, può questa fittione di Ovidio haver tolto il suo principio da quel costume antico, che quando s’abbrucciavano i corpi de i Re, i piu cari loro amici dopò haver concondato molte fiate il fuoco s’abbrucciavano insieme con essi; onde essendo fatto il medesimo a Mennone diede occasione, essendose veduti per aventura all’hora di quelli uccelli nell’aere sopra il fuoco, di formare questa fittione ch’egli con quello che s’abrusciò insieme con esso lui, e le faville che faceva fuoco fussero trasformate in uccelli. Quivi si vede con quanta arte habbia l’Anguillara espressi e trasportati i preghi dell’Aurora a Giove nella stanza, E sparsa il crine, e lagrimosa il viso, e nelle seguenti.

Le figliuole di Anio trasformate in Colombe prima che volessero servire all’essercito de i Greci, in tenerlo vettovagliato havendo virtù di convertire in pane, vino, & oglio, tutte quelle cose che toccavano, non sono altro che le parti della contemplatione, la quale è verso le cose create che non habbiamo inanzi a gli occhi, & è ancora verso le divine, & eterne; queste tutto quello che toccano bene con l’intelletto, e se ne fanno patrone diviene cibo dell’anima, il qual cibo è figurato per il grano, vino, e per l’oglio; e quando altri si vuol servir del medesimo cibo sceleratamente, e in danno altrui; esse sono trasformate in Colombe, che non è altro che essere volte con pura intentione verso il cielo.

I lunghi giri che fece Enea per mare prima che giungesse al paese fatale destinatogli da i cieli, e i molti pericoli che scorse; ci fa vedere che non potiamo giamai nel mare di questo mondo, giunger a porto alcuno che ci dia quantunque breve, e travagliato riposo, che non scorriamo molte disavventure e molti pericoli; si vede quivi quanto vagamente descrive l’Anguillara la città di Thebe in quella stanza, A quel che guarda il formator del giorno.

Polifemo che ama Galatea, che è la Dea del latte non è altro che il pastore che è ingordo de i frutti de’ suoi armenti, e perche i luoghi humidi fanno del latte assai, non voleva che Galathea s’accostasse ad Acci, fiume di Sicilia che ha proprietà di asciugar’il latte; dicesi ancora che questa favola è mera historia; e che Polifemo fu un crudelissimo tiranno di Sicilia; il quale amando smisuratamente Galathea nobilissima dongella non potendola haver per amore la prese per forza; dapoi essendose aveduto che faceva copia di se a un giovanetto dell’Isola molto amato da essa; ne sali in tanto sdegno, e furore che l’amazzò, e ’l fece gettar nel fiume, il qual prese il nome poi dal nome del giovane; si vede in questa descrittione quanto felicemente habbi l’Anguillara nella lingua nostra espressi i spiriti, e i nervi del Poeta latino, & in alcuni luoghi arricchitolo di alcune bellissime digressioni, e vaghissime descrittioni, come è quella dell’Isola di Sicilia, nell’ultimo della stanza, Dispregia il popol Frigio l’Oriente. Come ancora è quell’altra della bellezza di Aci, e della descrittione di Scilla, nella stanza, Simetide arrichi d’un figlio il mondo. Bellissima ancora è la conversione che fa il Poeta ad Amore, nella stanza, O quanto è il tuo potere alto, e stupendo, come è medesimamente vaga e leggiadra la descrittione de i modi che tiene Polifemo per piacere alla sua amata Galathea, e quella della sua musica, della stanza, Posato il pin che suol guidar l’armento. Bellissima ancora è la descrittione della bellezza di Galathea, della stanza, Lo splendor delle rose, e de i ligustri, come è ancor bella la descrittione delle uve bianche, e nere nella stanza, In copia attendon se l’uve mature. Bella ancora è la descrittione de gli Orsachini piccioli che intende di donar Polifemo a Galathea, che è pur dell’Anguillara come molte altre ancora, che si legge nella stanza, Fatta la madre lor dell’alma priva. Ma che diremo di quella della stanza, Tremò per troppo horrore Etna, e Tifeo? fatta a concorenza di quella dell’Ariosto: Tremò Parigi e turbidossi Senna. È bella ancora la trasformatione di Aci in fiume, che si lege nella stanza, Purpureo il sangue uscir della gran pietra.

Ci da essempio il pesce che fugge a Glauco, e si getta nel mare; che i piaceri che s’aquistiamo dopo molte fatiche, e pericoli sono brevi e fugitivi, onde pur che habbi messe l’ali si sono presti a lasciarci tutti stupidi, e confusi, e fuori di noi stessi come trasformati in altra forma che quella che ci rapresenta per huomini. Bellissima descrittione è quella del prato dove i pesci presi da Glauco ripresero vigore, e si gettorono nel mare, che si legge nella stanza, Io nacqui gia nell’Euboica terra e nella seguente, come è medesimamente bellissima la comparatione della stanza, Come veggiam talhor gli aerei Augelli che è dell’Anguillara, come è ancor sua la descrittione de i fiumi che vanno a purgar Glauco che si legge nella stanza, Pregar Theti, Nettuno, e l’Oceano.