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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/494

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libro

Le stanze, ove la fata fa soggiorno,
     Si veggon tutte d’ostro ornate, e d’oro.
     Le fa un superbo manto il fianco adorno,
     Distinto à gemme in un sottil lavoro.
     Ella à le molte Ninfe, c’ha d’intorno,
     Comanda altera, e vario officio è il loro.
     La spola, e l’ago ivi non hanno in uso,
     Ne il trarre il fil dal lin per darlo al fuso.

Il lor proprio essercitio, e la lor mente
     È intorno à fiori, à le radici, e à l’herbe.
     La maga, che sà dir distintamente
     I gradi de le dolci, e de l’acerbe,
     Comanda, come accorta, e diligente,
     Qual vuol, ch’allhor s’adopra, e qual si serbe.
     Le fa prima pesar, poi mesce insieme
     D’altra il fior, d’altra il fusto, e d’altra il seme.

Pongono in mille vasi, in mille ceste
     Dov’herbe, dove barbe, e dove fiori:
     E le dividon diligenti, e preste,
     Come le foglie mostrano, e gli odori.
     Intanto giunti noi chiniam le teste,
     E facciam gli altri gesti esteriori,
     Ch’indicio dan d’honore, e di saluto,
     Poi con questo parlar, chiediamo aiuto.

Donna, à cui diede il Re del santo regno
     Da dominare in questa illustre parte,
     Se in te il ciel piova ogni favor più degno,
     Di tanti beni à noi fa qualche parte.
     Tanto che si ristori il nostro legno
     Di remi, vele, antenne, anchore, e sarte.
     Che quella tratta non ne sia impedita,
     Che può bastare à mantenerne in vita.

Aggiunsi à questo dir sol quelle cose,
     Che in lei maggior potean destar la piéta.
     Ella con note allhor sante, e pietose,
     E con maniera liberale, e lieta,
     Per farne assicurar cosi rispose.
     Nulla al vostro desio qui non si vieta.
     Chiedete pur con voci aperte, e pronte,
     Che vostro è questo albergo, e questo monte.

Ma stanchi di ragione esser dovete,
     Che s’ha per queste piaggie aspro il camino,
     Però datevi alquanto à la quiete,
     Fin che à l’occaso il Sol sia più vicino.
     E, perche l’hora, e la stagion dà sete,
     Farò venir per rinfrescarvi il vino:
     Vi darò poi d’ogni mio ben la chiave
     Per gire à ristorar la vostra nave.

Come ha la fata à noi cosi risposto,
     Al primo cenno, ch’à le Ninfe diede,
     N’andar dove quel cibo era riposto,
     Ch’in simili occorrentie si richiede.
     E ne portar con l’infelice mosto,
     Lo cui valore ogni credenza eccede,
     Il capparo, l’oliva, et ogni frutto,
     Che più il palato fu salso, et asciutto.

La sete nata dal soverchio ardore,
     Per lo sal, che gustiam, più calda sorge.
     E mosso ogn’un di noi dal grande amore,
     Che ne la gentil donna ignota scorge,
     Di Bacco ama gustar quel buon liquore,
     Che con la man fatale ella ne porge,
     Tal, che beviam quel vin soave, e grato,
     C’havea con varij succhi ella incantato.

Come ha bevuto ogn’un, di mano in mano,
     Per la forza del vin stordito resta.
     Toglie una verga allhor la fata in mano,
     E con la punta à noi tocca la testa.
     Quel verso intanto mormora pian piano,
     Che dà favore al mal, ch’ella n’appresta.
     Quel, che seguì, narrarti io mi vergogno,
     Ma ’l dirò pur, se ben parratti un sogno.

D’hirsuti, et aspri peli in un momento
     Vestir mi veggio, e far deforme, e nero;
     E mentre m’armo à movere il lamento,
     Formar non posso il mio parlar primiero.
     La lingua articolar non può l’accento,
     Che scoprir suol l’interno human pensiero;
     Ma sento un rotto mormorare (in loco
     Del mio parlar) ch’io fo noioso, e roco.