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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/510

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Mentre il tuo bel giardino attento, e fiso
     Miro, e ’l bel volto tuo, le belle membra,
     Mi par, ch’à l’alto honor del paradiso
     La sua vaghezza, e ’l tuo splendor rassembra.
     E di tanto è più raro il tuo bel viso
     D’ogni maggior beltà, che si rimembra,
     Di quanto l’horto tuo lieto, e giocondo
     Vince ogn’altro giardin, c’hoggi habbia ’l mondo.

Tu sei de la beltà l’essempio vero,
     Tutte le gratie impresse hai nel tuo volto.
     E ben che donna io sia, tutto ho il pensiero
     À riverir la tua beltà rivolto.
     Io t’amo, e pria goder d’ogni altro spero
     De lo splendor, che in te veggio raccolto:
     Che mi concederai per cortesia,
     Ch’un dolce per amor bacio io ti dia.

Un bacio ella le diè tanto lascivo,
     Che tal mai non l’havria dato una vecchia.
     Nel volto de la Dea giocondo, e divo,
     E nel suo bianco seno ella si specchia.
     Con ogni modo poi caritativo
     La prega, ch’al suo dir porga l’orecchia:
     E fa, che la Dea giura d’ascoltarla,
     Senza che l’interrompa, mentre parla.

Promettendo far lei contenta, e lieta
     La finta vecchia con la sua favella,
     Per l’acqua, ch’à gli Dei pentirsi vieta,
     Fa la Ninfa giurare amata, e bella;
     Che starà sempre mai muta, e quieta
     Ad udir l’amorevol vecchiarella.
     E, perche meno ad ambe il dir rincresca,
     Si pongono à seder su l’herba fresca.

Innanzi à gli occhi loro alza la fronda
     Con sparti un’ olmo, e ben disposti rami.
     Una, che sostien, vite alma, e feconda
     Con mille i fusti suoi lega legami.
     In copia l’uva lucida, e gioconda
     Pende appiccata à suoi paterni stami.
     Gode ella l’olmo haver legato, e preso,
     E l’olmo è altier del suo lodato peso.

La vecchia accorta à lei quell’olmo addita,
     E dice. Mira ben quell’arbor tutto;
     Tu vedi quella vite al tronco unita,
     Con qual felicità produce il frutto.
     Tu vedi anchor quell’arbor, che l’aita,
     À quanto honor si vede esser condutto;
     Che poi che i frutti suoi mancano à lui,
     S’adorna, e stassi altier del frutto altrui.

Ma se quest’olmo vedovo, e infelice
     Stesse senza l’honor, c’ ha de la moglie,
     Qual frutto nutriria la sua radice,
     Fuor che l’amare inutili sue foglie ?
     Le vite si feconda, e si felice,
     Onde frutto si nobile si coglie,
     Superba è del suo frutto, e del suo bene,
     Per l’arbor, che l’aiuta, e la sostiene.

E se mancasse il tronco, ove s’afferra,
     À la consorte sua del suo favore,
     Si giacerebbe inutile per terra,
     Deserta, senza frutto, e senza honore.
     E quel, che ne la sua radice serra,
     Per la propria virtù succo, e vigore,
     Non bastando à levarla alta, e superba
     Nutriria sol le fronde, e l’uva acerba.

Ma non però veggo io, che questo essempio
     Ti faccia per tuo ben prender marito;
     Anzi per danno tuo, per altrui scempio
     Sei resistente à l’amoroso invito.
     Ver la natura ha il cor profano, et empio
     Ogn’un, che ’l natural sprezza appetito.
     Misere donne, hor qual vana paura
     Vi fa i doni sprezzar de la Natura?

Ahi che di si divino, e bel sembiante
     Dotata t’han l’alma Natura, e Dio.
     Le gratie, che ti dier, son tante, e tante,
     Ch’ogn’un per seguir te, pon sè in oblio.
     Ogn’uno ò per consorte, ò per amante
     Ti brama: ogn’un in te ferma il desio.
     Huomini, Semidei, Fauni, e Silvani,
     E quanti abitan Numi i monti Albani.