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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/511

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quartodecimo. 250

Ma d’ogni Divo, à cui gradisca, e piaccia
     Il tuo leggiadro, e singulare aspetto,
     Sol quel possente Dio scegli, et abbraccia,
     Che dal popol Latin Vertunno è detto.
     Fa degno sol quel Dio, che teco giaccia,
     Teco ei sol goda il coniugal diletto.
     E credi, et habbi la mia fè per pegno,
     Che fra gli Albani Numi egli è il più degno.

Ei più d’ogn’altro Dio ti porta amore,
     Credilo à me, ch’à lui son sempre appresso;
     Et ogni interno affetto del suo cuore
     È cosi noto à me, come à lui stesso.
     Et oltre c’ha quel natural splendore,
     Ch’à l’età giovinile ha il ciel concesso;
     Può prender ogni forma, ogni beltade,
     E ben tosto vedrai qual più t’aggrade.

Ei tal non è, che voglia hor questa, hor quella,
     Come il più de gli amanti esser si trova,
     Che vogliono ogni dì nova donzella,
     Che cercano ogni dì bellezza nova.
     Sempre à lui tu sarai gradita, e bella;
     Sempre t’approverà, come hor t’approva.
     Tu ’l primo ardor, tu l’ultimo sarai,
     Tu sola il ben d’Amor seco godrai.

Lui non privare, e te di tanto bene,
     Poi che lo stesso studio è d’ambidui.
     Se ’l cultivar de gli horti à te s’aviene,
     I primi frutti tuoi si denno à lui.
     E ne la destra sua sempre sostiene
     Le tue primitie, i grati doni tui;
     Ben che i tuoi dolci doni ei più non brama,
     E sol te chiede, ammira, honora, et ama.

Habbi mercè di lui, che t’ama tanto;
     Fa, ch’al dolce Himeneo t’unisca, e leghi.
     E se ben io per lui qui piovo il pianto,
     Fa conto, ch’ei qui pianga, e, che ti preghi.
     Farai sdegnar gli Dei del regno santo,
     S’avien, ch’à preghi altrui tu non ti pieghi.
     Nemesi, e Citherea di pene acerbe
     Soglion l’alme punir crude, e superbe.

E per far saggia te con l’altrui scempio
     Voglio io (che per l’età sò qualche cosa)
     Innanzi à gli occhi tuoi porre un’essempio,
     Che forse l’alma tua farà pietosa,
     D’una donzella, c’hebbe il cor tant’empio,
     Che fu à preghi d’Amor tanto ritrosa,
     Ch’un misero amator condusse à morte,
     Et ella peggiorò natura, e sorte.

Ne l’isola di Cipro una donzella
     Del sangue illustre del gran Teucro nacque.
     Costei fu d’ogni gratia adorna, e bella,
     E più, ch’ad alcun’altro, ad Ifi piacque.
     Il prego ei mosse bene, e la favella,
     Ben versò da le luci in copia l’acque.
     Ma la fanciulla, detta Anassarete,
     Non mai le voglie sue volle far liete.

Questo è ben ver, che l’infelice amante
     D’humil condition si trovò nato:
     Ma fu di cor si degno, e si prestante,
     E di tante virtù dal ciel dotato,
     Che ’l suo valore, e ’l suo gentil sembiante
     Gli dovrebbe senz’altro esser bastato.
     Ne gli bastò però: che la fanciulla
     Ogni sua rara parte hebbe per nulla.

Da principio il meschin con ogni cura
     Si ritien da l’amar donna si rara,
     Che vede la sua stupe humile, e scura
     Mal convenirsi à l’altra altera, e chiara.
     Cerca sforzare Amore, e la Natura,
     Da colpi lor si schiva, e si ripara:
     Ma il faretrato Dio ne vuol la palma,
     E gliela imprime à forza in mezzo à l’alma.

Dapoi ch’un tempo il misero contese,
     E che, mal grado suo, rimase vinto,
     Con mezzi accorti à lei fece palese
     L’amor, che lo struggeva, e ’l cor non finto.
     Modesto innanzi à lei sempre, e cortese
     Passò co ’l volto di pietà dipinto.
     Quando incontrolla, il debito saluto
     Di darle non mancò, ma, cheto, e muto.