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Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/81

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Ecco, che l’hasta appar già fuori un piede,
     E mentre ei mira, à che questo riesce,
     La penna, e ’l morion la terra eccede,
     Di più d’un cavalier, che di sotto esce.
     Il busto già d’ogni guerrier si vede,
     E tutta via la nobil biada cresce,
     Già mostra i fianchi, e gli altri membri ornati
     La nobil messe di guerrieri armati.

Tal se ’l theatro il ricco razzo adorna,
     Mentre s’inalza al ciel la seta, e l’opra,
     De le varie figure, ond’ella è adorna,
     Prima lascia apparir la testa sopra,
     Poi secondo ch’al panno alzan le corna
     Le corde, fa, che ’l busto si discopra
     Come poi giunge al segno ivi si vede
     D’ogni effigie ogni membro insino al piede.

Cadmo, che vede sì superba gente,
     E tanto ben’ armata, e ben disposta,
     De i denti nata del crudel serpente,
     Ch’ei pur dianzi atterrò, da lor si scosta,
     Prende le solite armi immantinente,
     E in buona guardia la persona posta,
     L’aspetta, e fermo tien, che quelle squadre
     Cerchin vendetta à l’ infelice padre.

Quando un di quei, che nacquer de la terra,
     Che in atto il vide di voler ferire,
     Non impedir la civil nostra guerra,
     (Disse) e fra noi la lascia diffinire.
     Così dicendo addosso ad un si serra,
     E con la spada ignuda il fa morire,
     Ecco lui fere un dardo à l’ improviso,
     E fa, che l’uccisor rimane ucciso.

Questo homicida anchor, che con lo strale
     L’altro homicida havea morto atterrato,
     Fu ferito da un colpo aspro, e mortale,
     D’una hasta, che gli aperse il manco lato,
     E spirò quello spirito vitale,
     Che pur dianzi gli havea la terra dato.
     Così l’un contra l’altro empi, e ribelli
     S’uccidon tutti i miseri fratelli.

Quelle due squadre coraggiose, e pronte
     Voglion morire, ò guadagnar la lite,
     E questi, e quelli mostrando la fronte
     Caggion per le reciproche ferite.
     Così se ’n vanno al regno d’Acheronte
     Le così poco incorporate vite,
     Il corpo cade, à cui lo spirto è tolto,
     Battendo à la sanguigna madre il volto.

Già s’era à cinque il numero ridutto,
     Quando un di lor detto Echinon già cede,
     E getta l’arme da Minerva instrutto,
     E pace à gli altri suoi fratelli chiede.
     Gli altri deposta ogni discordia al tutto,
     D’eterna pace si donar la fede,
     Questi hebbe il Tiro valoroso, e degno
     Compagni per fondare il fatal regno.

Cadmo dopo sì vario, e gran periglio
     Tebe veduto havea crescer di sorte,
     Ch’in questo suo non meritato essiglio
     Si potea contentar de la sua sorte,
     Havea più d’un nipote, e più d’un figlio,
     E la più bella, e più saggia consorte,
     Ch’al mondo fosse in qual si voglia parte,
     E per soceri havea Venere, e Marte.

Che gran felicità, che gran contento
     Vedersi una famiglia sì fiorita,
     E cominciata haver dal fondamento
     Una città sì nobile, e fornita?
     Ma, che? nessun si può chiamar contento
     Fin à l’estremo punto de la vita.
     Fortuna ogni suo gaudio in pianto volse,
     E ’l contento, c’havea, tutto gli tolse.

Cadmo un nipote havea d’una sua figlia,
     Felice lui se non l’havesse havuto,
     Ch’anchor serene havria le meste ciglia,
     Che non si piange il ben non conosciuto,
     Cortese era, e leale à maraviglia,
     Da tutto quanto il Regno ben voluto,
     Grato, giocondo, e di piacevol faccia,
     E sopra modo vago de la caccia.