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di provincia per indicare a punto un mobile a ripiani che riempie gli angoli. Ma cantoniera ha anche altri sensi, cioè la casa del cantoniere, e antic., meretrice. Più precisa sarebbe la parola scarabattola, ma è poco comune e poco elegante. Fra tante parole si usa la voce francese.
Etalage: = mostra, sfoggio, voci del pari efficaci che la parola francese, eppure questa è di largo uso, specie nel ceto mondano.
Etèra: bella parola greca, rimasta viva sino a noi; letteralmente vuol dir compagna, amica; e in Atene così si chiamavano le belle donne, libere da vincolo matrimoniale, ministre geniali del piacere. Aspasia, amante di Pericle, Frine, Diotima a cui Socrate chiedea notizie filosofiche su la natura d’amore, erano etere. Nome da vero più geniale che la volgare voce cocotte (di gran consumo in Italia, almeno finchè la Francia non ce ne avrà suggerita un’altra) pur non essendo gran divario nella sostanza della cosa.
Etere: questo nome è dato ad un composto che si ottiene per azione dell’acido solforico sull’alcole: lo stesso nome è dato a molte sostanze di costituzione analoga. È un liquido incolore, mobilissimo, di odore grato, speciale; leggero, volatile al sommo, infiammabile con fiamma viva e non fuligginosa. Usatissimo in chimica perchè scioglie gran numero di sostanze e così pure nelle industrie: in medicina, come anestetico.
Eterizzazione: processo anestetico che consisto nel respirare una miscela d’aria e di etere; ovvero nel rendere alquanto insensibile e fredda una parte del corpo mercè la polverizzazione dell’ètere.
Eternizzare: dal francese éterniser: in italiano eternare.
Eterno femminino: questo motto ed astratto felice: leggesi in Goethe, Fausto, scena ultima della seconda parte:
Das Ewig-Weibliche
Zirht uns hinan.
Esso diventò universale: V. A. Dumas, figlio, l’Homme-Femme, 1872, pag. 17; V. G. Carducci, Eterno Femminino Regale.
Etiam periere ruinae: emistichio di Lucano, Farsalia, IX, 968, riferito a Troia (di cui le ruine vennero rimesse alla luce or non è gran tempo dello Schliemann) ed è ripetuto con forza di intercalare: anche le ruine sono perite, cioè non rimane più nulla.
Etichetta: «cerimoniale di Corte o della nobiltà; e per estensione applicasi a tutte quelle cerimonie e convenienze che si usano nel conversare tra persone di qualità. Merita che si legga quello che ne scriveva il Magalotti: Lettere Scientifiche, 238. «Al mio ritorno in Italia cominciai a dire ancor io, in italiano, etichetta; nè io solo, ma le mie camerate ancora, credo per parer, come fanno i giovani, di aver portato qualche cosa di Spagna. Ne tornò il marchese di Castiglione,... ne sono tornati dopo degli altri, etichetta quegli, etichetta quell’altro, può essere che si sia fatto male a profanare la lingua Toscana con questo spagnolismo di più: il fatto però si è che in oggi io sento dire etichetta anche a di quelli che non sono mai stati a Madrid». Dalle quali parole si apprende che la voce è di origine spagnola, almeno per rispetto a noi, e che questo spagnolismo aveva preso piede fin dai tempi del Magalotti, cioè dal sec. XVII. Noi potremo dire cerimoniale con parola nostra. Ma non potendosi oramai rigettare la voce etichetta, devesi però restringere nel senso notato di sopra e lasciarlo ai Francesi nel senso di Cartellino». Così il Rigutini. Vero è che anche nel senso di cartellino è sancita dell’uso. Vale anche marca di fabbrica. L’etim. è dal ted. stecken, ficcare, non da est hic quaestio. La Crusca accoglie soltanto il senso primo di cerimonia.
E tiene ancor del monte e del macigno: verso dantesco passato in forza di locuzione per indicare rozzezza e rudezza di costume (Dante, Inf. XV, 63) ma, parmii, senza il concetto d’oltraggio con cui il Poeta fa da Brunetto Latini così designare i fiorentini, lazzi sorbi discesi da Fiesole.
Ètimo: = dal greco che vuol dire puro,