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Prefazione xxxv

piuttosto animando, chiamando fuori, rinvigorendo innumerevoli e stupende forze unitarie che sono occulte nei dialetti. Gli esempi del Tasso, del Bembo, del Boiardo, del Castiglione, dell’Ariosto, del Leopardi, scrittori non toscani, e pur mirabilmente vivaci, potrebbero provare qualche cosa.

Che il Manzoni, unitario in politica, abbia questo sentimento trasportato alla lingua, può giudicarsi cosa benefica ed ottima nel momento storico del Manzoni; e come principio, ma largamente e liberalmente inteso, principio ottimo sempre. Vero è che la inflessibile logica spinse il grande Lombardo negli anni suoi tardi a sottigliezze estreme in fatto di lingua italiana: la persecuzione della teoria rigida gli fece forse perdere di vista la realtà. Ora questo difetto del Manzoni diventò poi la pietra angolare della nuova scuola: fu smarrito il senso della realtà; lo studio di minuzie, di parole, suoni, segni, diventò dominante e domina. La grande linea e la conservazione dell’edificio sfugge agli occhi miopi che si affannano intorno ai particolari, alle decorazioni, agli intonachi. Esso è il fenomeno pedantesco, lo scrupolo superstizioso che segue costante quella imitazione che i minori hanno di un grande.

Si pensi: l’unità politica e — vogliamo credere — morale d’Italia portano per fenomeno di naturale evoluzione al fenomeno unitario linguistico: voci di dialetto non toscano entrano nel patrimonio della lingua nazionale, asperità e peculiarità fonetiche dialettali si smorzano nel parlare civile; e se in fine qualche traccia di questa varietà dialettale rimane nei suoni e nelle voci, io non mi sento in animo di condannarla. La varia vita di questa mirabile patria porta così! E infine buoni scrittori viventi di varie regioni, non toscane, tendono per naturale impulso ed attrazione ad un tipo unitario, pur conservando un certo aroma regionale che a me non spiace. Se uno scrupolo continuo ci deve perseguitare nello scrivere e nel parlare, l’italiano l’impareremo a cinquant’anni. Poche e sicure norme grammaticali, fede nella parlata natia, un po’ d’amore e di conoscenza della tradizione letteraria, e il resto affidatelo alla divina natura!



Concludiamo. Fu ed è il popolo italiano, fra quanti sono popoli al mondo, umanissimo e civilissimo, ma della facoltà di disporre della sua propria, individuale, tangibile libertà fu così singolare amatore, da far getto per essa della libertà collettiva e ideale: da venire a taciti patti con la tirannide e la dominazione straniera purchè questa libertà fosse