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Pagina:Panzini - Dizionario moderno.djvu/586

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Ebbene, "a parte l’esagerazione, per ora utopistica, un poco lo credo anch’io, che pure non uso, se non con molta parsimonia, parole nè modi stranieri; ma li ascolto però con piacere, lo confesso; e senza temere, com’Ella teme, che ciò accada senza reciprocità da parte dei popoli più forti e dominatori: ci rifletta, Lei che conosce bene questa materia, e vedrà che anche gli inglesi e i tedeschi importano i nostri vocaboli e le nostre frasi certamente in non meno larga misura di quel che non ne esportino dei loro fra noi.

Si rammenta Lei la risposta graziosamente spavalda della piccola padroncina di trattoria andalusa nella «Spagna» del De Amicis, al nazionalista feroce, che, alludendo ad Amedeo di Savoia, diceva, in tono di patriottico sdegno:

«Ahora tenemos un rey estranjero!»

«A mi me gusta!» ribatte lei, cui piaceva infatti, un poco anche appunto perchè idealizzato da un’aureola di lieve esotismo, il re giovane e bello, galante e cavalleresco. Dopo tutto, meglio questo che un tirannello paesano, tisicuzzo e bacchettone, formalista, ed insignificante.

E lo stesso dico io dell’infiltrazione linguistica forestiera: «A mi me gusta!>> E «gusta» anche al popolo minuto, che anzi (lo dice Lei stesso), dai giornali, dai cataloghi, dai viaggiatori di commercio, dalle modiste, raccoglie avidamente e fa sua e serba ogni voce forestiera, specialmente francese, che gli accada di leggere o d’ascoltare. Gli è che il popolo in generale, ed il nostro in particolare, è per natura sua ospitale e cosmopolita, e che campanilista ed esclusivista non diviene se non artificialmente, per opera di malvagi e d’interessati, che l’ingannino, lo suggestionino, l’aizzino contro il fratello che vive e lavora pacificamente al di là d’un fiume, d’un monte, d’un mare; il nostro in particolare, ho detto, appunto perchè accampato da secoli e secoli nel bel centro del mondo civile, su questo magnifico molo europeo, che si protende tra il mite Mediterraneo verso l’Africa e l’Asia, e avvezzo a veder passare per la sua terra ogni sorta di gente, e a sentire e a comprendere, come il buon Giusti nel «Sant’Ambrogio», che anche quando essa era strumento di tirannia e di prepotenza, lo era per forza ed a malincuore, costretta da pochi ambiziosi predoni gallonati o coronati, ma, per se stessa plasmata in fondo con la medesima pasta, di cui noi pure, noi latini, noi italiani, siam fatti.

Popolo equilibrato e sano, il nostro, espansivo e bonario, e, com’Ella dice splendidamente in fine, dotato d’un senso inalterabile di libertà, di tolleranza, di gentilezza; lasciamolo dunque fare a suo modo, e trattare degli altrui popoli, come le persone, così pur le parole; anche con la casa piena di forestieri, rimarrà sempre lui, rimarrà sempre italiano.



.....Trovo che la pubblicazione del suo Dizionario moderno è pienamente giustificata, e che essa riescirà di grande utilità a tutti.

Mi congratulo con lei che lo ha compilato, e con l’editore che lo ha pubblicato. G. SERGI.


.....Indubbiamente molte verità si contengono nella gustosissima e italianissima prefazione al suo Dizionario moderno. Dissento però in alcuna parte.

A reprimere certi abusi e la consuetudine di certo gergo barbarico non credo niente affatto inutile l’opera della scuola. Molti vocaboli e costrutti riprovevoli — volere o non volere, cioè volere o volare — furono e sono implacabilmente sbanditi da una valorosa falange d’insegnanti, che con eroica perseveranza combattono a difesa di quella sacra italianità che non si spense dopo fatta l’Italia, ma rifiorì «rinnovellata di novelle fronde», prima per influsso del Manzoni richiamante al toscanesimo vivo, di poi per l’autorità del Carducci richiamante alla tradizione, da ultimo per efficacia della scuola estetica richiamante al culto della forma bella. La più parte delle parole che Ella enumera — escluse le scientifiche, che debbono esser usate e in senso proprio e in senso metaforico, ed escluse altre poche, degne di vita letteraria — non sono notate già, secondo quello ch’io penso, «a memoria di ciò che