Pagina:Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu/141

Da Wikisource.

il bacio di lesbia 139


Atene e in Roma, l’odio di parte arrivò all’ostracismo e all’esiglio, ma si fermò davanti alla pena di morte. Le «sante leggi» non erano poi tutta favola in Grecia e in Roma! Se poi Cicerone, oltre all’esiglio, ebbe abbattuta la casa, ciò è dovuto al fatto che il popolo, quando è in furore, aggiunge sempre alla condanna il contentino, o buon peso.


Povero e caro Marco Tullio! Era nato per bene et beate vivere: la sua biblioteca, il suo caro filosofo Panezio, le sue ville, i suoi predii che lui chiama praediola, il suo intelligente Tirone, la indimenticabile figlioletta Tulliola... Non gliene andò bene una. Era un galantuomo!

Crollò tra le fiamme la sua bella casa; e, quale capolavoro di ironia, l’area di detta sua casa fu da Clodio consacrata alla Dea Libertà!

Fugge Cicerone lontano da Roma. Non basta l’Epiro, non basta Atene. Cinquecento miglia deve il «padre della patria» andare lontano dalla patria. Mendicare deve la vita a frusto a frusto! Da lontano vedeva con gli occhi dell’anima le fiamme della sua casa, udiva il pianto di Tulliola.

In quella dolorosa condizione la moglie Terenzia si comportò poco bene; invece bene si comportò il Senato, e quella parte del popolo che non era con Clodio.