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che intendeva mutare vita, darsi a pratiche religiose; e se per il passato aveva scritto poesie d’amore, ora intendeva scrivere poesie sacre: insomma aveva deliberato di abbandonare la strada del vizio per la strada della virtù.

Diceva Catullo a Catullo cosi:

«Arriva un momento nella vita in cui ogni uomo che ha fior di senno, segue il consiglio di Prodico: si leva dai voluttabri del vizio e si avvia per il sentiero della virtù. Perciò abbiamo deciso di lasciare, e per sempre, la Signora».

Alle terme, in piazza, nei tabarini, Catullo non si vede più.

Tutto il mondo galante ripeteva: «Non sapete? Catullo ha lasciato la Signora».

Per aiutarsi a mantenere il giuramento, Catullo era ricorso al falerno.

— Olà, ragazzo —, diceva al suo cameriere, — giù da bere! ìnger mihi càlices amariores.

E bevi bicchieri che ti bevi: coppe su coppe di quel vino terribile, che era del più fino, di quello usato nelle mense pontificali, si accorse che il vino gli giocava pessimi scherzi: gli colavano le lagrime dagli occhi, poi scrosci di pianto, poi lamenti, e fra le lagrime e le grida usciva in queste parole:

«Si, addio per sempre, ingrata e adorata. Addio! Catullo è già ben fermo, e resiste e