Pagina:Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu/39

Da Wikisource.

il bacio di lesbia 37

— Osservate attentamente, o Orazio, questa turba umana. Si racconta che, un tempo, essa fu Senatus Populusque Romanus. Ora è un torrente che romba, che scorre, si urta, si rincorre, fa vortici e spume. Eppure sono miriadi di gocce, e ogni goccia ha un’anima. Chi le governa? Io? Iddio? Tutto è volgo. Volgo i senatori, volgo i censori, volgo i tribuni, volgo i cavalieri. Siete voi certo che tutto sia volgo? o non vi sorge il dubbio che anche i Trecento delle Termopili erano volgo? Voi dite « odio il volgo profano e me ne sto lontano »; infatti voi abitate nella vostra villa di Tivoli. Augusto non dice «odio», dice «amo»! Io non mi allontano; ci vivo in mezzo. Questo volgo balzerà dalle tombe ogni volta che una voce lo chiami a difendere la sua Roma. Voi, Orazio, dormite le placide notti. Augusto veglia! Si sveglia a mezzo la notte. Ode nella notte le sterminate genti che si affoltano, che muovono dalle rive dell’Istro e del Reno: mai Roma gli si parte dal cuore. Prega gli Dei affinché mai il sole non veda cosa piú grande di Roma. C’è sangue su la mia toga? C’è in Augusto nequizia di chi vuole un popolo di automi? un Senato di servi? Hai confuso Augusto con un re asiatico!

E rientrando la voce dell’Imperatore nella sua pacatezza, disse: — Sai piuttosto dove è