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48 alfredo panzini


volto scavato, capelli arruffati, due occhi spiritati. Cicerone riconobbe in lui uno di quelli che più applaudivano alla sua orazione. Colui disse:

— Bravo, Marco Tullio! Evviva il più eloquente dei nepoti di Romolo, quanti sono, quanti furono e quanti saranno. Grandissime grazie io ti rendo; io, il peggiore poeta fra tutti i poeti come tu sei il migliore avvocato fra tutti gli avvocati. C’era con me il mio amico Camerio, ma lui non ha avuto coraggio d’entrare. L’ammirazione per voi sia di scusa alla mia audacia.

— Ah, ah, un poeta nuovo o un nuovo poeta! — disse Cicerone con intenzione.

— Tanto nuovo, — disse colui, — che neppur io mi riconosco. Voi mi avete commosso. Io e voi la sentiamo allo stesso modo; e ve lo vengo a dire in faccia.

— Molte grazie vi rendo, — disse Cicerone — benché quell’idem sentimus sia un po’ giovanilmente ardito. Adagio prima di dire che io e voi la pensiamo allo stesso modo! E poi pare a me, ni fallor, che voi parliate per quella figura, o tropo, o metafora che in un modo esprime un pensiero, un sentimento, mentre l’animo in altro modo sente; e i greci chiamano «ironia».

— Sarà come voi dite, — disse il giovane,