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il padrone. Costui disse che era lunedì, e cantò a Beatus la canzone del calzolaio:
Lunedì, San Crispino,
Martedì, San Crespiniano.
In quella oscura bottega, dove erano accatastati mucchi deformi di scarpe e ciabatte, lo sorprese una cosa bianca, che il calzolaio premeva amorosamente contro il suo petto, e poi toglieva e lambiva, e poi levigava. Era il tacco ertissimo di una calzatura di donna, cioè il piedestallo su cui la donna regge il dondolante ventre.
— O che vuol fare il calzolaio? — domandò l’omaccione vedendo quell’omarino, che si affissava nel suo lavoro.
Rispose di no, e pregò di dire a quel suo lavorante che, come potesse, venisse da lui.
Un giorno colui venne. — È qui — disse Scolastica.
Beatus li fece entrare entrambi nel suo studio dove c’era Loreto, la gabbia dell’usignolo morto e Ruggero Bonghi.
Beatus li fece sedere. Lui si sedette senza