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tus! Gli parve che pesi insospettati, imponderabili, si accumulassero su uno dei piatti della bilancia della vita. La bilancia perdeva l’equilibrio, traboccava verso qualcosa, dove gli occhi della sua ragione — terzo stadio del progresso — non vedevano assolutamente più.

Quel giorno, quel giorno del maggio 1915, che i giovani lo avevano circondato dicendo: «Beatus, si va a morire. Ci dica lei, almeno lei, una parola di fede, di fede ardente. Si va a morire, o Beatus!»

Gli pareva che dicessero: «Non si va a prendere il tè».

Erano diventati pazzi quei giovani? Erano pallidi. Parevano trasfigurati. Ah, che terribile giorno! Il rettore magnifico volle parlare e cominciò: «Ma, figliuoli miei, che cosa vi ha fatto la Germania?» Dovette smettere e ritirarsi sotto i fischi. Pareva un vento di bufera. Il professore di storia antica udendo le grida: «Viva Trento e Trieste!», aveva alzato le mani ed era scappato in biblioteca a studiare le fonti in Diodoro Siculo: il professore di diritto che portava sempre nella manina il codice rosso aveva detto: «La mia mano non può stringere questa materia in-