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il romanzo della guerra 103

Mercoledì, 16 Settembre. Ho scoperto il mistero del mio mite ussero della morte. Abbiamo parlato ieri, mentre tristamente annottava, lungo il mare.

I suoi vecchi erano al servizio di Casa d’Este, e vecchia nobiltà era la sua: ora più nulla! Un suo antico scortò, nel ’59, Francesco V da Este nella fuga da Modena a Mantova. Ne ebbe in compenso non so quale magnifica villa. Ma il nuovo Governo, la democrazia, la rivoluzione non riconobbero il dono. Rimangono soltanto lo stemma, memorie araldiche, nomi di parentado in Austria, o che altro disse. Alcun che di confuso, povero figliuolo! di esagerato: ma alcunchè di vero ci doveva pur essere.

— Dunque lei non è italiano?

— Italiano sì, ma italiano austriaco.

— Non è, allora, nemmeno monarchico...

— Il re vada là — accennava i monti — in val di Moriana. È il suo posto quello lì?

— Quale?

— Quello dove l’ha messo la carboneria, la mazzinianeria, la massoneria, e compagnia bella: Roma! Roma deve essere del papa. E il Lombardo-Veneto all’Austria! Francesco Ferdinando l’ha detto quando inaugurò il monumento a Radetzky: «Ritorneremo!» E l’avrebbe fatto!

— Così che lei ha sofferto molto per la morte di Francesco Ferdinando...