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134 il romanzo della guerra

— Giacomo Leopardi.

— D’accordo, perfettamente.

— Il guerriero — esclamò lui sempre più entusiasta — vincerà il mercante e il filisteo! Ricorda la profezia di Zaratustra?

— Sì! Bello! ma troppo giovanile ragionamento! E dopo? Crede lei che dopo avremo un’umanità diversa? Ma veniamo al positivo: quale conclusione lei fa in caso di vittoria definitiva della Germania? A me, glielo dico subito, si prospetta questo spaventoso avvenire: la Germania costringerà il mondo a vestire un’anima bellica se non vorrà perire sotto la pax germanica. È orribile!

Ma il mio giovane amico è preso da un cupo furore:

— Meglio, così: gli imbelli dovranno o servire o perire, e sempre trionferà Zaratustra.

— Caro amico — dissi accompagnandolo giù per le scale, perisca Ilion, se deve perire; cada l’alta rocca di Priamo, se è fatale che cada; ma v’è qualcosa di sacro che le fiamme dei fatali Germanici non devono distruggere.

Così ci siamo lasciati. La sua carrozza è scomparsa nella notte, sotto la dolorosa pioggia. Egli parte per terre lontane!

Ah, se ci fossero oggi, come ai tempi di Enea, terre lontane, anche noi fuggiremmo. Fuge crudelis terras, fuge litus avarum.