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Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/154

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76 sotto la madonnina del duomo

al suo tavolo da lavoro: che cosa cuce, che cosa agucchia? — Oh, che stupido — disse poi: — ma quello è il corredo per un bambino.

E il giorno seguente la rivide di sfuggita, con uno scialletto di lana in testa: rincasava in fretta dopo aver fatto le provviste col suo cestello; la osservò: — Issa tiene ò piccirillo! — canterellò Don Ambrogino.

Doveva essere negli ultimi mesi perchè da allora in poi la vide uscire assai di rado. — Hanno comperato una stufa. Era tempo. Il caldo dei baci va bene per loro due, ma il bambino che deve nascere non la penserà così! Ma che stufa hanno preso mai! di quelle stufe basse di lamiera con dentro un rivestimento di terra che bisogna star lì ogni quarto d’ora a buttarci giù del carbone: e il fumo e il puzzo che fanno, puah! Dovevano comperare una stufa come la mia, vero, tu? — e si rivolgeva alla sua stufa, la quale era stata per lui una questione seria come e più forse dell’appartamento. Le avea passate tutte in rassegna, a cock, a legna, a gaz; uno studio lungo e serio fatto sui cataloghi, controllati da debite informazioni, e finalmente avea dato la preferenza ad una stufa americana con regolatore, in forma di una casetta con bei metalli nichelati, con le lastrine di mica che fanno vedere il bel fuoco il quale veglia tranquillo di dentro. Chi lo avea deciso a tale acquisto era stato il signor....: un nome che termina in mann, ed apparteneva ad un gentiluomo lungo lungo, mezzo tedesco e mezzo milanese, che gli aveva detto: «Volete, signor, l’ultima espressione del progresso e della scienza, una razional stufa? una stufa hors ligne? Comprate mia stufa».

Era costata cara, ma come ne era contento! Pensare che non si spegneva mai: andava piano pianino, andava forte, più forte, fortissimo; consumava e risparmiava il carbone secondo che voleva lui! La completa fiducia nella sua Americana gli era nata al ritorno da una gitarella