Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/180

Da Wikisource.
102 sotto la madonnina del duomo

della mano: il segno della croce, e alcune pure parole latine che invocano pace vera ed eterna gli ricorsero sulle labbra.

Dopo disse:

— Ci viene anche lei dietro?

— Oh sì, — rispose lei, — mi vestivo ora per quello.

Ambrogino salutò e disse che sarebbe venuto anche lui: si sentiva una certa cosa che gli moveva tutt’il sangue e aveva bisogno di respirar dell’aria. «Guarda che robe ci sono nel mondo!» e crollava il capo. Sul pianerottolo sedevano ancora le tre bambine, e la più grande domandò se il morticino era bello. Ma Ambrogino non vi badò: da tempo immemorabile non si era più commosso e adesso stava male. «Dovevo mica andare, ma già, se anche non andavo, quel dolore lì c’era lo stesso», diceva fra sè e sè. E alla prima bottega che trovò su’ suoi passi, entrò e prese un caffè con un bicchierino di cognac per darsi un po’ di spirito, «Certe cose non si dovrebbero mai andare a vedere, guastano il sangue. Povero bambino!»

Se lo ricordava quando veniva ai Giardini a bere il latte, e ne beveva! ed era tutto felice di giocare con la terra. Adesso della terra ne avrà anche troppo; e ricordava che gli aveva anche lui fatta una carezza su le guance. «Ne ha visto poco del mondo, lui!» E si sentiva delle vecchie lagrime nascere da ignote sorgenti e coprir le pupille. Ne era meravigliato, come era meravigliato di questo pensiero insistente che era proprio il contrario della linea direttiva del suo discorso politico e sociale; e tale pensiero mal suo grado gli si scolpiva davanti, netto: «La vita è cosa triste».

In via Santa Margherita passò davanti ad una bottega di fioraio: la neve cadeva, e dietro la smisurata