Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/46

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xxxii pietro panzeri


Invece è vero, ed è fuori di ogni espressione convenzionale o retorica, che taluni individui non si possono sostituire così facilmente. Vi sono uomini — anche fuori del portento e del fenomeno del genio — i quali posseggono così felicemente combinate fra loro le disposizioni naturali e la libera volontà di operare verso un dato scopo, da fornire una grande eccellenza e quantità di lavoro benefico: lavoro i cui limiti non sono imponibili nè prescrivibili da alcun regolamento o capitolato; ma che sono nell’arbitrio dell’uomo. Ora questi, scomparendo per legge di morte, distrugge e d’un tratto infrange l’opera sua giornaliera. E gli uomini superstiti se ne dolgono per spontaneo consenso di affetto, e i buoni serbano nel cuore la riconoscenza nè lasciano illanguidire troppo presto il fiore gentile della memoria.

Per quanto la società odierna con manifesta ingratitudine (almeno a me così pare) intenda a deprimere l’opera dell’individuo a gloria delle opere anonime delle moltitudini; per quanto con ingiustizia palese chiami e confonda talvolta con un unico nome — a cui vuolsi sottintendere senso presso che vituperevole, cioè col nome di «individuale» — l’opera sì di Attila che quella di Galileo, pure è certo che le moltitudini seguiteranno a trarre profitto dal lavoro compiuto dall’individuo; e questi dovrà necessariamente far ricadere il beneficio del proprio lavoro sui propri simili.

I quali pagano, qualche volta, il beneficio