Pagina:Panzini - Lepida et tristia.djvu/91

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chi sarà lo sposo? 13


tile dirvelo considerando la mia grave età), ho fatto il carbonaio da uomo, e lo faccio da vecchio. Sono anch’io un’antica pianta; anzi le vecchie quercie mi hanno assicurato che quando sarò sepolto sotto di loro, beveranno i miei umori con le loro radici potenti e li trasporteranno in cima delle loro rame così che io tornerò ancora a godere il sole. Questo pensiero è confortante benché la mia fiducia non sia molta.

Il carbonaio non è un lavoro faticoso. Sotto la creta che copre la catasta il fuoco pensa lui e arde adagio adagio e consuma le fibre dei faggi che avrebbero fatto la barba ai secoli se la nostra scure non li avesse troncati. È lavoro utile tanto agli uomini della città come a quelli della campagna, tanto nel tempo che sono vecchi come quando sono giovani: scalda la cuna al bambino, ed il lenzuolo a chi sente il gelo della morte. Né é più utile di inverno che non lo sia di estate: non richiede la sofferenza dei propri simili come altri lavori più tenuti in onore; per questo, vi dico, il mestiere del carbonaio è nobile ed allegro. Io non mi sono mai pentito di aver fatto il carbone; nient’altro che il carbone nella mia esistenza e questo del non pentirsi — vi assicuro — é grande argomento di felicità. Il becchino, che pur esso é un mestiere utile, non vale il carbonaio, perchè essi, i becchini, devono scavare le fosse e guardare sempre in giù; ed è per tale ragione che essi, i becchini dico, hanno una faccia stravolta e melanconiosa come nessuna altra persona; mentre noi che teniamo sempre lo sguardo in alto per l’abitudine di osservare se il fumo della catasta esce come deve e non turbinoso, acquistiamo questa fisonomia gentile, come voi potete vedere.

Dunque il carbonaio prima, il becchino poi, cioè prima chi prepara il fuoco per la vita, secondo chi depone con riguardo sotto la terra i nostri miserabili avanzi; terzo verrebbe il filosofo, cioè chi ci insegna come