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Il topo di biblioteca 37

fa di quel signore americano che morì idrofobo per una carezza di un suo cagnolino?„ Ma è una combinazione dell’uno sul milione. “Sì, hai ragione: tu probabililmente non morirai idrofobo. Però ammetti, Fulai, che di una morte devi pure morire!„ E questa idea mi si annida allora nel cervello e non se ne vuole più andare.

Ma v’è di peggio: tutti i miei placidi libri mi incutono un’idea spaventosa del tempo. Dante è un abisso, e mi fa paura. I codici del Dugento mi incutono terrore.

Io vedo il tempo materialmente: lo vedo in forma di un abisso senza fondo. Me ne sta davanti la spaventosa etimologia: tempo, cioè l’andata senza fine, l’eterno che tutto assorbe. Gli uomini hanno immaginato certe eleganti divisioni del tempo, cioè evo, cioè le ore, le olimpiadi, le calende, i mesi; come in certi edifici si mettono dei diaframmi per evitare il capogiro guardando in giù: ma in realtà è tutta una continuazione; e l’abisso rimane. Questi versi del Leopardi, che prima leggeva indifferentemente:

                         E mi sovvien l’eterno,
                    E le morte stagioni,

adesso mi dànno un senso di raccapriccio.