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226 i trionfi di eva

ben nota, se non che infinitamente umile e carezzevole di figlia d’Eva sottomessa, sussurrò con un erre che mi tolse alle gote ogni flusso di sangue: — Ma lo sai, Gastone, che io ho dei doveri, dei sacrosanti doveri?

Palpitò un bacio e la voce con l’erre tremò ridendo: — Bambino, bambino mio!

Ebbi a pena tempo di voltarmi che uno strascico setoso e spumoso di femina elegante scompariva nella vettura chiusa.

Le ruote scricchiolarono nello svoltare, accelerarono il moto: un rumore che durò a lungo nell’ardente silenzio meridiano: più nulla.

L’oste tendendo tutto l’acume del suo cerèbro nel difficile calcolo finale della scopa, io voglio dire delle carte dispari e delle pari, non si era addato di nulla. E in fatti è calcolo acuto e richiede molta attenzione.

— Se le carte sono mie, la bottiglia per quest’oggi la paga lei. — Contò e — Ventidue! — disse con grande soddisfazione — Però se desidera far la rivincita non mi rifiuto.

— Sarà per un altro giorno, amico, tanto più che oggi è tardi.

— Come le pare.

Saldai lo scotto senza dare a vedere alcuna sollecitudine, ma a pena ebbi inforcata la bicicletta e l’ebbi avviata con due nervose mosse di pedale, sclamai fra me: «Non sarà mai detto che una carrozza possa aver ragione di una bicicletta!»