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xvi. - Pax tibi, Marce, Evangelista meus | 163 |
e non hanno udito niente.... Lui gode a guardare in su, col pìccolo naso e le grandi lenti: lei dice: «schön! bello!» come dicevo io da bambino.
I giganti sono tornati nella loro immobilità. I due innamorati tedeschi vanno a dare il grano ai piccioni.
Doveva èssere più bella Venèzia una volta, quando l’Adriàtico rigònfio e forte, pareva tener lui sollevate queste moli ricamate di marmi, e c’èrano le galee d’oro: Venèzia al tempo di Pietro Aretino, ma senza questi pennacchietti tirolesi.
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Mi sono fermato davanti a quella tomba che è sul lato orientale di San Marco, su la quale sta scritto: Daniele Manìn, e null’altro.
Passa una popolana con due bimbi. I bimbi si fèrmano: — Mama, chi xelo Daniele Manìn?
— Quello che ga difeso Venèzia nel Quarantoto. Andemo putei, no fermeve, no perdè tempo.
E poco dopo una voce suonò dietro le mie spalle: — Daniele Manèn?