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iv. - Quattordicimila morti! 23

o almeno che scarpe! Ha lo zàino affardellato che ricorda la sàrcina dell’antico legionàrio. I suoi occhi celesti vagano senza l’ombra di un pensiero. Parla vèneto. Parliamo. Ora va in montagna a raggiùngere il suo reggimento, poi verosimilmente andrà in Libia. Certo bisogna sostituire quelli della leva del 1891. Andrà dove lo manderanno, farà quello che gli comanderanno. Molti non sono tornati. Lo sa. Ma i suoi occhi celesti non hanno l’ombra di un pensiero. Ora su le Alpi la vita è faticosa; ma l’acqua è buona, i suoi superiori sono buoni. Per mangiare, essi, i soldati, si fanno la minestra in gruppi di quattro o sei, e la cuòciono con la legna dei boschi; e la minestra è buona.

Alla stazione di Thiene grìdano i giornali del mattino.

È scoppiata ancora la guerra nella penìsola balcanica! I giornali ne parlàvano come di cosa probàbile nei giorni addietro. Ma come era possìbile crèderci dopo sei mesi di guerra! E che orrìbile guerra! Allora Bulgària, Grècia, Montenegro come belve feroci contro quell’altra antica feròcia, che è la Turchia. E adesso Grècia e Sèrbia contro la Bul-