Pagina:Parabosco, Girolamo – Novellieri minori del Cinquecento, 1912 – BEIC 1887777.djvu/191

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— risponde Aminta — mille volte, quando da te feci partita

senz’alma, senza core e senza vita, e con si strana voglia, ch’uom per eterno bando da la patria giamai non si divise, che sentisse com’ io pena e martiro; e miracolo è ben s’ancor respiro.

E, membrando la doglia

ch’io n’ebbi allor, a stupor tale arrivo,

eh’ io non so certo di trovarmi vivo. —

Canzon, ciascun di lor piú detto avria; ma invidia e gelosia con vista d’uom crudele fin pose a le querele, da cui ne seguian poi si dolci paci, che n’era lieto ognun di mille baci.

Finita ch’ebbe di legger il Corso la canzone, nacque fra gli ascoltanti lungo ragionamento sopra di quella. Molti furono che lodarono il principio, altri gli affetti e gli spiriti che dentro vi si veggono, altri il soggetto, e altri piú il fine e la cagione del finire, per non entrare in parole o in atti piú lascivi, come apunto accenna l’autore che seguito saria, quando dice:

Da cui ne seguian poi si dolci paci, che n’era lieto ognun di mille baci.

Doppo, seguitando il Corso di leggere, cosi incominciò un madrigale:

Poi ch’io vivo lontano, gradito e del mio cor dolce soggiorno, da voi, ben posso dire che fuor non tra’ di vita soverchio aspro martire; e, se, nel far ritorno, non mi fará morir doglia infinita, me potrá il mondo per essempio avere ch’uomo uccider non può doglia o piacere.