Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/102

Da Wikisource.

240fie pago assai, poi che vedrá sovente
ire e tornar dal tuo palagio i primi
d’arte maestri; e con aperte fauci
stupefatto berá le tue sentenze.
Ma giá vegg’ io che le oziose lane
245soffrir non puoi piú lungamente, e in vano
te l’ignavo tepor lusinga e molce,
però che or te piú gloriosi affanni
aspeltan Tore a trapassar del giorno.
Su dunque, o voi del primo ordine servi,
250che degli alti signor ministri al fianco
siete incontaminaci : or dunque voi
al mio divino Achille, al mio Rinaldo
l’armi apprestate. Ed ecco in un baleno
i tuoi valletti a’ cenni tuoi star pronti.
255Giá ferve il gran lavoro. Altri ti veste
la serica zimarra, ove disegno
diramasi chinese; altri, se il chiede
piú la stagione, a te le membra copre
di stese infíno al piè tiepide pelli;
260questi al fianco ti adatta il bianco lino,
che sciorinato poi cada, e difencia
i calzonetti; e quei, d’alto curvando
il cristallino rostro, in su le mani
ti versa acque odorate, e da le mani
265in limpido bacin sotto le accoglie.
Quale il sapon del redivivo muschio
olezzante all’intorno, e qual ti porge
il macinato di quell’arbor frutto
che a Ròdope fu giá vaga donzella,
270e chiama in van, sotto mutate spoglie,
Demofoonte ancor, Demofoonte.
L’un di soavi essenze intrisa spugna
onde tergere i denti, e l’altro appresta
ad imbianchir le guance util licore.
275Assai pensasti a te medesmo; or volgi